Già poche dopo l’attacco sferrato dalla Striscia verso Israele, Teheran si era pronunciata senza lasciare dubbi, dicendosi – per voce del consigliere della Guida suprema Ali Khamenei – “fiera” dei “combattenti palestinesi” e promettendo di restando al loro fianco fino alla liberazione di Gerusalemme e della Palestina. E se fino a poche ore fa per gli Stati Uniti era troppo presto per dire se l’Iran fosse implicato nell’assalto, ora la conferma arriva direttamente dal portavoce di Hamas, Ghazi Hamad. Alla Bbc ha dichiarato che la Repubblica islamica ha dato il proprio sostegno ai jihadisti in modo che potessero lanciare l’attacco a sorpresa e senza precedenti contro Israele, che finora ha causato la morte di 300 civili e uomini delle forze di sicurezza israeliane, il ferimento di oltre mille e un numero imprecisato di rapiti dal sud di Israele e portate nella Striscia di Gaza (segui la diretta).

Così l’ombra dell’Iran, intenzionato a far saltare l’accordo di normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita, si allunga sul Mediterraneo orientale con il nuovo feroce e sanguinoso tassello dell’infinita guerra tra Israele e forze palestinesi filo-iraniane.
Gli Hezbollah libanesi rimangono alla finestra ma si dicono pronti a entrare in guerra dal fronte nord di Israele. Come sembravano aver fatto nel pomeriggio del 7 ottobre, quando i media israeliani avevano segnalato un tentativo di ingresso, fermato dai soldati israeliani, poi subito smentito da fonti del Partito di Dio.

Diversi analisti mediorientali concordano nel vedere la Repubblica islamica come principale ispiratore della massiccia e senza precedenti offensiva sferrata da Hamas e dalla Jihad islamica a partire dalla Striscia di Gaza. L’azione militare lanciata da Hamas è stata chiamata ‘Diluvio di al-Aqsa’, ovvero di Gerusalemme, in riferimento al terzo luogo santo per l’Islam dopo Mecca e Medina.

Hamas, la Jihad islamica e il loro sponsor iraniano puntano sui pilastri della retorica anti-israeliana: l’appello ai valori dell’Islam e la difesa di Gerusalemme. Un appello a cui si sono associati, finora però solo a parole, i jihadisti sciiti libanesi, che hanno affermato di seguire “da vicino e con grande interesse gli sviluppi sul terreno palestinese. La nostra dirigenza è in contatto diretto con la direzione della resistenza palestinese dall’interno e dall’esterno (della Palestina)”. Solo pochi giorni fa, il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah, aveva detto in un discorso pubblico che il movimento filo-iraniano è pronto a scatenare una vasta offensiva contro Israele.

La data scelta per lanciare l’attacco porta alla mente scenari di accerchiamento di Israele da parte dei suoi nemici regionali, ormai da anni riuniti nel cosiddetto ‘Asse della Resistenza’ guidato proprio dall’Iran: il 7 ottobre è il giorno dopo il 50mo anniversario della guerra di ottobre del 1973 tra Israele, Siria ed Egitto, ed è il 23mo anniversario della prima operazione condotta da Hezbollah contro Israele dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano nel 2000.

Hezbollah ha rafforzato in questi mesi la sua presenza lungo il fronte transnazionale, che va dalla costa mediterranea libanese fino al confine giordano sulle rive del fiume Yarmuk passando per l’Alta Galilea e le Alture del Golan. Solo un anno fa gli Hezbollah siglavano, tramite gli Stati Uniti e il governo libanese, un accordo storico con Israele per la spartizione delle risorse energetiche a largo delle coste libanesi e israeliane, definendo – per la prima volta dopo decenni di belligeranza – la frontiera marittima tra i due Paesi. Un passo che era andato nella direzione di un processo di normalizzazione regionale tra diversi attori rivali nella regione: Iran e Arabia Saudita hanno ripreso i rapporti diplomatici a marzo su pressioni della Cina, accelerando il processo di negoziazione politica in Yemen, dove sauditi e iraniani si sono fatti la guerra per otto anni appoggiandosi sui rispettivi clienti locali.

Dopo gli accordi di pace di tre anni fa tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco e Sudan, la svolta tanto attesa sarebbe dovuta arrivare nei prossimi mesi, comunque prima delle presidenziali statunitensi di novembre 2024: la normalizzazione diplomatica tra Arabia Saudita e Israele. Per questo, la reazione di Riad all’offensiva di Hamas è stata dettata dalla necessità di non infastidire il futuro alleato israeliano senza rinunciare alla sempre più vuota retorica filo-palestinese: il regno del Golfo si è limitato a chiedere alle parti “la fine immediata dell’escalation“. Su questo Hezbollah ha risposto: “L’azione di oggi dimostra al mondo che la causa palestinese non è morta e manda un messaggio a chiunque cerchi di normalizzare i rapporti con il nemico”.

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