Razzi, incursioni armate a bordo di pick-up, moto, gommoni, deltaplani a motore e perfino camminando un’ora a piedi nel deserto. Una tenaglia con un solo obiettivo: fare quanti più morti e ostaggi possibili nel giorno di Shabbat. A più di 24 ore di distanza, domenica pomeriggio, se ne contano rispettivamente oltre 300 e un numero imprecisato che qualcuno ipotizza raggiunga i 750. L’attacco senza precedenti a Israele da parte di Hamas, capace di beffare le intelligence e la tecnologia di Tel Aviv, racconta di un piano dettagliato, messo a punto con ogni probabilità per mesi. Una strage articolata e pianificata, attribuita alla mente di Mohammed Deif, il ‘fantasma’ di Gaza a capo del braccio armato del gruppo terroristico, primula rossa scampata a decine di tentativi di eliminarlo: superare il muro, in alcuni punti letteralmente abbattuto, e portato il terrore nel cuore di Israele.

Nelle sue strade, nelle case e nei villaggi. Anche in centri abitati importanti come Sderot. E ancora: seminare il panico tra le migliaia di ragazzi che partecipavano a un rave nelle campagne al confine con la Striscia organizzato per la festa di Sukkot. Così l’attacco di Hamas ha assunto le sembianze di un 11 settembre israeliano. Tutto è iniziato sabato mattina, a distanza di 50 anni e un giorno dal 6 ottobre 1973, in una riedizione del fallimento degli 007 israeliani nella guerra dello Yom Kippur: allora non videro arrivare il doppio attacco di Egitto e Siria, questa volta sono stati totalmente sorpresi dall’irruzione dei miliziani di Hamas. E sotto accusa è finita anche la reazione lenta dopo l’attacco. Gli incursori palestinesi si sono fiondati in territorio israeliano in molteplici modi, dopo essersi spianati la strada e garantiti copertura con il lancio di migliaia di razzi che hanno mandato in tilt l’Iron Dome, il sistema antimissilistico di Tel Aviv.

Dalla Striscia di Gaza ne sono partiti 5.500 secondo il gruppo terroristico, circa la metà ad avviso del governo israeliano. Sicuramente abbastanza per rendere impossibile la vita al sistema di difesa e “bucarlo”. Quasi in contemporanea è iniziata la parte più ardita e beffarda del piano: la penetrazione dentro Israele. I video raccontano dell’assalto alle postazioni dell’esercito a guardia del muro che divide lo Stato ebraico dalla Striscia, una sorveglianza allentata nel giorno di Shabbat. Lanciarazzi per aprirsi la strada, quindi un assalto corpo a corpo e l’ingresso in Israele mentre le ruspe continuavano a sventrare le divisioni. Non solo: i miliziani sono arrivati anche via aria “paracadutandosi” con deltaplani a motore, invisibili ai sistemi di difesa israeliana e già usati nel 1987 nell’azione che diede il là alla prima Intifada. Un mezzo perfetto per planare sui carriarmati, neutralizzandoli, e sorprendere le difese nemiche, aggirate anche via mare da alcuni gruppi sbarcati in diversi punti della costa.

Una tenaglia alla quale è seguito il caos. Hamas ha progettato una caccia strada per strada, uccidendo civili e assaltando stazioni di polizia. Ci sono stati morti alle fermate degli autobus, lungo le statali, agli angoli delle strade, dentro le case e le caserme. Ci sono stati morti ovunque, mentre gli incursori occupano e controllano villaggi interi. Si è arrivati a contarne fino a 22, poi con il passare delle ore l’esercito è riuscito a liberarne una quindicina ma il giorno dopo si combatte ancora in almeno 7 territori. L’obiettivo principale di Hamas è stato comunque raggiunto: seminare il terrore, facendo molte vittime, e catturare ostaggi da portare dentro la Striscia. Il giorno dopo, secondo Israele, si contano 750 dispersi. Molti di loro, al netto dei morti ancora da identificare, sono ostaggi. Semplici civili, poliziotti e militari. Tutto è stato filmato e diffuso sui social. Dimostrando e amplificando il successo dell’azione, inchiodando il “nemico” alla perdita del mito dell’invulnerabilità.

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