“Che grande messaggio di pace, tolleranza e inclusione“. Con queste belle parole la Fifa e il suo presidente Gianni Infantino mercoledì 4 ottobre hanno infiocchettato l’annuncio dell’assegnazione dei Mondiali di calcio 2030, i più assurdi della storia. Si giocheranno in Spagna, Portogallo e Marocco, con i due Paesi europei e quello nordafricano che avevano unito le forze per essere certi di sbaragliare la concorrenza dell’Arabia Saudita. Ma il colpo di teatro è un altro: per celebrare il centenario della Coppa del Mondo, tre partite si giocheranno anche in tre paesi sudamericani: Uruguay, Argentina e Paraguay. Così viene spacciato il Mondiale sparso su tre continenti, per dare “un’impronta globale unica”, dice sempre la Fifa. Dietro la grande retorica, però, c’è solo una conseguenza pratica: la Coppa del Mondo 2034 toccherà certamente a un Paese asiatico o dell’Oceania. Eccolo il tappeto rosso che si stende ai piedi di Bin Salman: l’Arabia Saudita, che ha dovuto rinunciare all’obiettivo di organizzare i Mondiali nel 2030, ha ora la strada spianata per ospitare quelli del 2034. La possibile forte concorrenza di un Paese sudamericano o di un Paese africano è stata spazzata via in un colpo solo. Così, appena 12 anni dopo il Qatar, il calcio tornerà a prostrarsi a un Paese del Golfo. Infatti, con un tempismo quasi smaccato, proprio lo stesso giorno in cui la Fifa ha annunciato l’assegnazione 2030, è arrivato il comunicato di Riad che conferma la candidatura saudita ai Mondiali 2034.

“Lo sport è parte integrante della visione globale di Saudi Vision 2030“, diceva lo scorso 28 settembre a Roma Abdullah Maghram, direttore della comunicazione internazionale del ministero Saudita dello Sport. Il regime di Bin Salman ha deciso di puntare forte sul pallone e sullo sport in generale per abbellire la propria reputazione internazionale e nascondere le sistematiche violazioni dei diritti umani. Gran premi di Formula 1, tornei di tennis e di golf, Giochi invernali asiatici da disputare su una montagna costruita dal nulla. E poi i calciatori e le squadre europee: l’acquisto del Newcastle che ora batte il Psg in Champions, l’arrivo in Arabia di Cristiano Ronaldo e poi a cascata di altri campioni (più o meno decadenti) pagati a suon di petroldollari. L’organizzazione del Mondiale di calcio è l’apice di questa strategia, per fare come e meglio dei nemici qatarioti. La Federcalcio saudita punta a “organizzare un torneo di livello mondiale traendo ispirazione dalla continua trasformazione sociale ed economica dell’Arabia Saudita e dalla passione per il calcio profondamente radicata nel paese”, si legge nel comunicato del 4 ottobre con cui l’Arabia Saudita si è candidata ufficialmente per organizzare la rassegna iridata del 2034. Un concetto, quello della passione per il calcio, a dir poco contestabile: i dati dicono che alle partite della Saudi Pro League, nonostante l’infornata di calciatori famosi, assistono in media poco più di 8mila spettatori.

Ma questo a Riad poco importa. E nemmeno alla Fifa, come dimostra il caso Qatar. Il problema per l’Arabia Saudita però era un altro: in base al principio della rotazione dei continenti, il Mondiale 2034 sarebbe dovuto spettare a un Paese sudamericano (ultima edizione Brasile 2014), visto che nel 2030 la candidatura congiunta di Spagna, Portogallo e Marocco tocca sia Europa che Africa. Se si esclude la piccola Oceania, infatti, tutti gli altri continenti hanno avuto il “loro” Mondiale in anni recenti: l’Asia con Qatar 2022, Nord e Centro America con l’edizione 2026 che si svolgerà tra Stati Uniti, Canada e Messico. Quindi, per fare un esempio chiaro, una ipotetica candidatura dell’Argentina per organizzare l’edizione 2034 sarebbe stata difficile da rifiutare per la Fifa. Poi però è saltata fuori l’idea di organizzare un Mondiale in Europa e Africa, ma pure con tre partite in Sud America, sparse tra Uruguay, Argentina e Paraguay.

“La prima di queste tre partite si giocherà ovviamente nello stadio dove tutto è iniziato, nel mitico Estádio Centenário di Montevideo, proprio per celebrare l’edizione del centenario della Coppa del Mondo”, spiega il comunicato della Fifa. Fin qui tutto bene: una partita in Uruguay per celebrare il centenario della Coppa del Mondo. E perché in Argentina? Forse per il prestigio, ma allora non si spiega l’esclusione del Brasile. E perché il Paraguay? Ufficialmente non si è capito. Tanto che in Cile è partita la protesta: il presidente cileno Gabriel Boric ha accusato la Fifa di “mancanza di serietà” per non aver riservato una fetta di Mondiale anche al suo Paese. È doveroso però sottolineare un aspetto: il presidente della Confederazione sudamericana (Conmebol) si chiama Alejandro Domínguez. Di che nazionalità è? Paraguaiano.

Assicurando queste tre partite al Sud America nel 2023, Infantino ha tagliato fuori tutti i Paesi del continente da una possibile candidatura nel 2034. E la Conmebol, con il presidente paraguaiano, ha stranamente accettato. Lo scrive nero su bianco la stessa Fifa nel suo comunicato: “È stato inoltre concordato che, in linea con il principio della rotazione delle confederazione e della garanzia delle migliori condizioni di hosting possibili per i tornei, le procedure di candidatura per entrambe le edizioni 2030 e 2034 siano condotte contemporaneamente, con le federazioni affiliate alla Fifa dei territori dell’Afc e dell’Ofc invitate a candidarsi per ospitare la Coppa del Mondo 2034“. La Fifa stessa quindi precisa che per il Mondiale 2034 avranno la precedenza i Paesi affiliati all’Asian football confederation (Afc) e alla Oceania football confederation (Ofc). È una prova schiacciante: a meno di sorprendenti e inaspettate candidature da parte di Stati come l’Australia o la Cina, di cui per ora non si ha notizia, l’Arabia Saudita si presenta alla corsa senza rivali. Tutto grazie a questo Mondiale spalmato fra tre continenti inventato dal nulla dalla Fifa di Infantino. Un bel regalo a Bin Salman.

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