Adesso cosa faranno e cosa diranno Enrico Mentana, Gaia Tortora, Lilli Gruber, Giovanni Floris, Corrado Formigli, Massimo Gramellini, Diego Bianchi, Marianna Aprile, Luca Telese e tutti i big di La7 alla luce di quanto scrivono e argomentano i giudici del Tribunale del Riesame di Firenze sulla brutta vicenda dell’improvvisa chiusura anticipata del programma Non è l’Arena e dell’allontanamento del giornalista e conduttore Massimo Giletti, giornalista da anni sotto scorta per le minacce della mafia, da parte dell’editore Urbano Cairo? Si schiereranno, una buona volta, prendendo una posizione chiara verso Giletti che più volte ha denunciato il suo pressoché isolamento e l’assenza di solidarietà di suoi stessi colleghi di rete? Biasimeranno il loro editore? Nell’autonomia dei loro programmi affronteranno la vicenda della chiusura di Non è l’Arena?

Rispettare il pubblico significa raccontare la verità qualsiasi essa sia. Ora che c’è un pronunciamento ufficiale di un tribunale non è giunto il momento di dimostrare di essere davvero liberi? Secondo i giudici, infatti, Giletti aveva ragione: Salvatore Baiardo, il tuttofare dei boss Graviano al centro dell’inchiesta sui mandanti occulti delle stragi del ’93, mostrò una foto che a suo dire ritraeva Graviano con Berlusconi e il generale Francesco Delfino. Immagine che secondo il tribunale potrebbe non esistere, ma che “sicuramente è stata fatta vedere a Giletti”, al contrario di quello che lo stesso Baiardo ha detto ai magistrati, sostenendo che il giornalista si fosse inventato tutto (da qui l’accusa di calunnia e la richiesta di arresto). Secondo i giudici proprio quella foto può aver causato la chiusura di Non è l’Arena.

“Esiste – scrive il tribunale – un’elevata probabilità che la trattazione di questo tema gli sia costata la chiusura della trasmissione da parte di Urbano Cairo, persona in passato legata a Silvio Berlusconi. Non sono emersi ragionevoli altri motivi per la chiusura della trasmissione, né le indagini hanno fatto emergere una audience bassa in relazione ai programmi similari ed alla fascia oraria di messa in onda. Si segnala anzi la repentinità della decisione, maturata proprio quando veniva sviluppata l’inchiesta sui contatti Graviano-Berlusconi dei primi anni Novanta”. Insomma, c’è una elevata probabilità che dietro sollecitazione di Paolo Berlusconi (Giletti ha riferito ai pm che manifestò più volte a Cairo il proprio fastidio) il programma sia stato cancellato e il conduttore sia stato poi allontanato per la scelta di occuparsi dei presunti e mai dimostrati rapporti tra Silvio Berlusconi e i fratelli Graviano.

Decisione, quella di cancellare la trasmissione, dovuta pare anche dal timore che Giletti volesse approfondire l’inchiesta dei magistrati di Firenze sulle origini dei flussi finanziari che hanno dato vita al gruppo Fininvest nei primi anni 70 e i pagamenti mai interrotti di consistenti cifre all’ex senatore Marcello Dell’Utri.

Insomma, la trasmissione Non è l’Arena e il licenziamento di Giletti da parte dell’editore di La7 sembra sia stata una censura preventiva, un palese e traumatico stop della libertà di stampa e l’esplicita interruzione dell’agibilità di un giornalista professionista e del suo gruppo di lavoro.

È bene ricordare che con Giletti lavoravano circa 16 giornalisti e altri collaboratori, un intero gruppo di lavoro, che dalla mattina alla sera è stato cacciato, letteralmente buttato in strada. Neppure lontanamente si è tutelato quel lavoro tenace, insistente di documentazione e racconto diretto realizzato, in particolare, sulla cattura del boss Matteo Messina Denaro. Servizi Tv che hanno mostrando con la forza viva e cruda della cronaca l’ambiente circostante, le collusioni, le connivenze, le convenienze di insospettabili che hanno garantito per 30 anni la latitanza del boss di Castelvetrano, acciuffato solo per la sopraggiunta malattia come allo stesso Giletti, mesi prima, aveva preconizzato Baiardo.

La lente d’ingrandimento di Giletti di un giornalismo che a volte non sempre può piacere ha svelato storie singolari e misteri attorno all’ennesimo arresto tardivo di un boss che con la sua morte non solo ha portato nella tomba tanti segreti ma rassicura molti protagonisti che con il favore delle tenebre hanno commesso condotte e azioni indicibili. Proprio alla luce di questi fatti, i tanti telespettatori che seguono La7 adesso attendono una presa di posizione, un momento di verità, una difesa dell’autonomia e della libertà d’informare da parte dei protagonisti di tante trasmissioni di servizio pubblico.

Certo mi sovviene qualche dubbio nel riascoltare le parole di Lilli Gruber che – nel corso della Festa del Fatto quotidiano dello scorso 9 settembre partecipando al dibattito ‘Informazione e deformazione’ con Sigfrido Ranucci, Antonio Padellaro e Maddalena Oliva – non solo non ha mai accennato alla vicenda Giletti ma a più riprese ha spiegato di lavorare in un’emittente di un editore libero: “Sto benissimo a La7, godo di una totale autonomia e nessuno mai mi ha detto cosa devo dire, chi devo invitare e cosa devo fare”.

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