Il Napoli ha vinto, Osimhen ha segnato, il caso è rientrato (ma fino a un certo punto, come dimostra la mancata esultanza del giocatore e i commenti dei tifosi). Insomma, tutto è bene quel che finisce bene. Più o meno: come insegnano gli esperti, nulla di ciò che avviene sul web si cancella. Il pasticcio ormai è fatto. E la colpa è della solita gestione dilettantesca di una grande squadra.

Del “socialgate” di Osimhen nelle ultime 48 ore si è già detto tutto, dai due video pubblicati dal profilo ufficiale del Napoli su TikTok sull’attaccante paragonato a una noce di cocco o deriso per il rigore sbagliato, alla reazione scomposta del calciatore che ha cancellato tutte le foto con la maglia azzurra, mentre il suo agente minacciava addirittura azioni legali. Non facciamo gli ingenui. Sicuramente la storia è stata ingigantita ad arte da chi voleva strumentalizzarla (i procuratori spesso lo fanno) per forzare la mano sul rinnovo. Magari il giocatore se l’è presa troppo, non ha capito le logiche di una piattaforma dove quel genere di video è all’ordine del giorno. Semmai al riguardo andrebbe aperta una parentesi sul rapporto fra il pallone, i social e le nuove generazioni e sul fatto che le tendenze che si diffondono in maniera virale non sempre sono compatibili con i valori di questo sport e inseguirle a ogni costo rischia di diventare un autogol (ma questa è proprio un’altra storia).

Il punto è che – stupido o divertente, vagamente razzista o solo di cattivo gusto, qui ognuno si faccia la sua opinione – il video era semplicemente sbagliato, di un masochismo sconcertante. Come si può pensare che sia una buona idea di realizzare una clip che prende in giro il tuo giocatore più rappresentativo, in un momento così delicato in cui la squadra viene da tre risultati negativi e il diretto interessato ha appena bisticciato con l’allenatore? Chi lo ha concepito? Chi l’ha pubblicato e soprattutto chi non ha controllato?

Ecco, una vicenda così sciocca (ma sciocche potrebbero non esserne le ricadute) se ha un significato è proprio l’assenza di una filiera manageriale all’altezza del Napoli calcio. E non è la prima volta che accade. Pensiamo ai tweet a ruota libera di presidente e profilo del club. Ai comunicati stampa sguaiati, in cui si bollano come “cazzate” le notizie riportate dalla stampa: poi magari lo erano per davvero, ma voi avete mai visto una nota ufficiale di Manchester City o Liverpool parlare di “bullshit” o carinerie simili? Alle stesse trattative sui rinnovi e sui contratti, che assomigliano spesso a dei duelli rusticani (e non che Inter o Milan non abbiano avuto problemi con i giocatori in scadenza, anzi, ma a Napoli tutto è speciale).

Una grande squadra deve esserlo a 360 grandi, dentro e fuori dal campo. E invece il Napoli, che ormai è a tutti gli effetti un top club in Serie A e anche a livello internazionale, a volte dà ancora l’impressione di essere gestito in maniera dilettantesca. In fondo, è solo una sfumatura di colore, un’altra faccia della stessa medaglia: il protagonismo di Aurelio De Laurentiis. La sua convinzione di essere, da solo, l’artefice del Napoli calcio, che a livello tecnico ha già portato agli addii burrascosi con Sarri, Giuntoli, Spalletti e a livello societario si traduce in una gestione padronale, a tratti casereccia. A Napoli c’è un grande presidente, e questo nessuno lo discute. Ma poi sotto (e figuriamoci al suo fianco) non c’è quasi nulla, manca un management all’altezza del livello a cui Napoli giustamente aspira. Quel video di Osimhen, insieme alla gestione complessiva del caso che potrebbe essere allargata a tutto il post-scudetto, ne è solo l’ennesima riprova.

Twitter: @lVendemiale

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