Un campo privato rifatto col torneo finanziato dal pubblico. Una Federazione che è riuscita nell’impresa di portare in Italia la più importante manifestazione golfistica del pianeta. E un Paese intero sostanzialmente disinteressato all’evento, così grande per tutti fuorché per gli italiani. Dopo anni di polemiche, leggi ad hoc, finanziamenti, garanzie governative e ritardi, la Ryder Cup finalmente è arrivata a Roma: quattro giorni di gare, una parata di stelle, e oltre 60 milioni di euro pubblici spesi. Sono passati quasi otto anni da quando il presidente della FederGolf, Franco Chimenti, e quello del Coni, Giovanni Malagò, annunciarono trionfalmente che l’Italia si era aggiudicata la Ryder Cup 2022 (poi diventa 2023 a causa della pandemia). In mezzo è successo praticamente di tutto, e anche adesso che si gioca non è ancora possibile dire se ne sia valsa la pena, e soprattutto quanto ci sia costato lo sfizio di portare un torneo di golf in un Paese che di golf si interessa poco o nulla. Il governo – questa ormai è storia – ha finanziato con 60 milioni di contributi, infilati in manovra ai tempi del ministro Lotti e scoperti dal Fatto Quotidiano, oltre a una garanzia statale di 97 milioni, la cui escussione ancora non è del tutto scongiurata. Poi sono venuti altri piccoli rabbocchi e contributi, da ultimo negli scorsi mesi anche dal ministro Abodi, e a quanto risulta al Fatto.it ancora negli ultimissimi giorni prima della manifestazione sono continuate le richieste d’aiuto, anche perché il progetto arriva fino al 2027 e le somme si potranno tirare solo alla fine.

Al momento sappiamo con certezza quanto ci ha messo il pubblico (una cifra vicina ai 65 milioni di euro), ma non qual è e quale sarà il consuntivo. Anche perché la trasparenza è stata praticamente nulla: non è mai stato pubblicato il piano industriale (Il Fatto ha avuto l’occasione di vederlo una volta, nel 2018, e da allora chissà come sarà cambiato), e soprattutto sono stati mischiati i conti della gestione ordinaria della Federazione con quelli dell’organizzazione dell’evento. Un pasticcio tale che gli stessi revisori federali hanno dovuto ammettere che “risulta complesso stimare l’impatto della Ryder Cup e seguire l’impegno economico per questo straordinario progetto”.

Qualche indizio si ritrova qua e là fra le pieghe degli ultimi bilanci. Citiamo sempre l’ultima relazione dei revisori: “Se è stato semplice rivelare i costi nei primi due anni di presentazione della candidatura (170mila euro nel 2014 e 751mila euro nel 2015), negli anni successivi questa rivelazione è difficilmente attuabile, sia perché i costi sono stati imputati in vari capitoli di spesa, ammortamenti ed oneri compresi, sia perché gran parte della struttura operativa della Federazione è stata coinvolta”. A titolo indicativo è possibile prendere l’andamento della voce “Organizzazione manifestazione internazionali”, che dai 3,6 milioni pre-Ryder nel 2017 è letteralmente esplosa (12,6 milioni nel 2018, 13,1 nel 2019, 5,6 nel 2020 condizionato dal Covid, 9,9 nel 2021). Ma il conto è appena parziale. Bisognerebbe aggiungere, ad esempio, i numeri di Golfed Srl, società di servizi costituita nel 2020 per adempiere alle obbligazioni del progetto Ryder, che ha perso quasi due milioni negli ultimi tre esercizi. Oppure i lavori straordinari sostenuti con Terna per l’interramento dei cavi elettrici sul campo del Marco Simone, ovviamente a spese della Federazione. E questo quando mancano il bilancio 2022 (in attesa di via libera dal Coni, ancora non è stato pubblicato), per non parlare del 2023. Un bagno di sangue, come testimonia anche il patrimonio netto della Fig ormai ridotto all’osso.

La Federazione si è dissestata per portare la Ryder in Italia. Si potrebbe vederla anche con un investimento. Ma con quale ricaduta? Al di là della retorica, i tesserati sono rimasti sostanzialmente stabili, passando dai 90mila del 2015 ai 94mila al 31 dicembre 2022 (ultimo dato disponibile sul sito della Federazione). Il che vuol dire che fin qui il boom del golf in Italia non c’è stato. Magari andrà meglio nei prossimi anni, sulla scia del grande evento. Intanto però si è aperto un buco nei conti, che dipende proprio dal mancato introito delle tessere, ed è quello che agita gli organizzatori e in parte anche il governo (ricordiamo che c’è sempre la garanzia statale…). Roma non ci ha guadagnato quasi nulla, giusto il raddoppio di sette chilometri di via Tiburtina, opera importante ma certo non cruciale nella viabilità della Capitale, e comunque già finanziata con altri contributi. Quanto al Paese, alle enormi ricadute fiscali (Kpmg avrebbe calcolato un indotto tra i 500 milioni e il miliardo), agli inestimabili benefici reputazionali (c’è chi ha promosso addirittura la narrazione di una Ryder Cup volano per l’aggiudicazione di Expo 2030 contro la potentissima Arabia Saudita), di sicuro la Capitale ha fatto il pieno di turisti per una settimana, quanto al resto è tutto da verificare. Mentre i soldi spesi e le storture del progetto sono abbastanza oggettive.

Messa così, sembrerebbe una sconfitta su tutta la linea. Ma non è vero. Per qualcuno è un trionfo. Per il n.1 del golf Franco Chimenti, che potrà sempre ricordarsi come l’uomo che ha portato la Ryder in Italia. Per gli organizzatori inglesi, che si sono regalati una cornice da sogno per la loro coppa e gli americani a cui tanto piace il golf con vista San Pietro. E ovviamente per la famiglia Biagiotti, che era proprietaria di un circolo scalcagnato alle porte di Roma e ora si ritrova fra le mani un campo che può fregiarsi del titolo di sede ufficiale della Ryder Cup, di cui beneficerà (anche economicamente) per anni. Inutile seguire con trepidazione la gara. “Loro” hanno già vinto.

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