Certo, il pianterello sugli attori italiani che non interpretano abbastanza ruoli di personaggi italiani nei film americani, ce lo saremmo aspettato da tutti, men che meno da Pierfrancesco Favino. Uno dei pochi attori italiani che da anni bazzica con più frequenza sui set americani, oltre ad essere onnipresente nelle produzioni italiane. Il suo amaro sfogo è avvenuto nel corso di un’intervista, rilasciata qualche giorno fa in occasione del recente festival del Cinema di Venezia ed era riferito in particolar modo, alla scelta di far interpretare Enzo Ferrari all’attore anglosassone Adam Driver.

Ma dico io, come sarà mai venuto in mente a Michael Mann di affidare la parte del protagonista di un film da 90 milioni di dollari ad uno degli attori del momento, una star che ha collezionato tutta una serie di successi cinematografici recentissimi (Storia di un matrimonio, House of Gucci, Star Wars-L’Ascesa di Skywalker, solo per citarne alcuni)? Una produzione deve essere davvero matta per decidere di scritturare un attore che attualmente ha un valore di mercato altissimo, anziché preferirgli un attore italiano che a livello commerciale, nel panorama internazionale vale un decimo, se non meno!

Senza contare, che la storia del nostro cinema italiano è piena di capolavori che narrano storie di italiani, interpretati da star americane o comunque internazionali. Per citarne qualcuno: Il Gattopardo di Visconti, vede come protagonisti Burt Lancaster e Alain Delon che interpretano il Principe di Salina e il bel Tancredi; Il Padrino di Francis Ford Coppola, in cui Don Vito Corleone è impersonato da un americanissimo Marlon Brando; Novecento di Bertolucci, dove i due protagonisti sono De Niro e Gerard Depardieu.

Potrei andare avanti per ore, perché la storia del cinema italiano è costellata da scelte di casting basate su pure analisi di mercato, che finivano sempre col prediligere attori che in quel momento storico avevano grande potere commerciale (come giustamente, ha ricordato anche Gabriele Muccino). Ciò che stupisce davvero di questo Favino lagnoso, è che proprio lui finga di non sapere come vanno le cose nel mondo del cinema. Uno che, negli ultimi cinque anni ha girato qualcosa come quindici film quasi tutti da protagonista, proprio per via di quel grande potere commerciale, di cui sopra.

Non intendo discutere sul suo grande talento attoriale, che è assodato, ma l’Italia è piena di attori davvero bravi ai quali però, per poter ricoprire ruoli da protagonista, manca la cosa più importante: il valore di mercato. E in ogni caso, qualora si scelga un protagonista esordiente, gli si affiancano sempre attori di grosso calibro per far sì che il film abbia un ritorno adeguato al botteghino o di share televisivo. E’ un ragionamento cinico? Sì. Ma è la pura realtà dei fatti e Favino lo sa bene.

Perciò, invece di sollevare polveroni inconsistenti, avrebbe invece potuto spendere due parole sulla deriva assai poco elegante della Mostra del Cinema di Venezia, da qualche anno a questa parte. Una manifestazione nata per il cinema, dedicata al cinema e che vive di cinema, invasa da influencer, tiktoker, gieffini e altri personaggi improponibili, che nulla hanno a che vedere col cinema. Sfilate di tristi reduci televisivi, morti di fama e starlette sconosciute che calpestano goffamente quel tappeto rosso sul quale hanno camminato star mondiali del calibro di Brad Pitt, Robert DeNiro, Charlize Theron.

E non è solo colpa del fatto che – come afferma il direttore della Mostra – le star che hanno partecipato sono giunte a Venezia con una speciale deroga da parte del sindacato degli attori che, durante lo sciopero, impedisce di partecipare a interviste o ad attività promozionali. Anche le scorse edizioni, purtroppo, erano popolate da personaggi palesemente distanti dal mondo del cinema e che, per la verità, parevano essere distanti da ogni forma di cultura in generale. E sinceramente, trovo impensabile l’idea di tamponare la perdita di attori di spessore con Antonio Zequila e Giorgia Soleri.

Forse Favino avrebbe potuto porre l’accento sul fatto che la Mostra del Cinema di Venezia è un luogo sacro per chi fa cinema e anche per chi lo guarda e proprio nel rispetto di chi lavora con impegno in quel mondo – sia esso italiano, americano o giapponese – sarebbe necessario ripensare all’organizzazione di questa importante manifestazione, evitando di trasformarla in una succursale del Billionaire. Certo, è molto più semplice azzardare un “prima gli italiani” anche al cinema piuttosto che rompere le scatole agli sponsor che vivono anche grazie agli influencer.

Ci vuol coraggio, signora mia! A volte, è meglio tacere.

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