Ci doveva essere Roman Polanski. Era il suo giorno. Era il suo film: The Palace, una brillante commedia satirica sullo spettro del Millenium Bug. Uno sberleffo di Roman all’Alta Società. Invece non è venuto. Neanche sua figlia Morgana, una delle co/protagoniste. Allora io che ci vado a fare?, mi chiedo. Voglio essere solidale con Roman. Se dopo 50 anni il genio del cinema mondiale non merita al diritto d’oblio per le vicende giudiziarie che si trascina dietro come un’ombra, io voglio essere solidale con lui. Dalla parte di Roman anche la moglie Emmanuelle Seigner, da lui straordinariamente diretta in tanti film, ne cito uno per tutti Venere in pelliccia. Adesso invece è co/protagonista del film Pet shop Days, regista il piccolo Schnabel e ha rinunciato ai lustrini del Festival. Tanto non ne ha bisogno.

Se ci fosse stato Roman. Avrebbe curato anche la regia del red carpet che sarebbe stata meno raffazzonata. Non si trovava l’invito di Carla Milesi di Gresy che come co/produttrice associata ha reso un omaggio al Grande Cinema. La sua bellissima nipote Dudi di Gresy, top model e volto della campagna LoroPiana (era una delle invitate sul set del Gran Ballo di Capodanno) Roman l’avrebbe di certo voluta sul tappeto rosso. Insieme a Brigitta Notz, la musa ispiratrice, protagonista della dolce vita di Gstaad. Le feste più belle con Gunther Sachs sposato allora a Brigitta Bardot, Ivo Pitanguy, Vittorio Emanuele di Savoia, Julio Mario Santo Domingo, l’Aga Khan, Audrey Hepburn, sono spalmate in 25 album di foto, preziosi scrigni in pelle rossa dal profilo dorato, divisi per anno. Sono la memoria storica di un mondo del jetset di cui si è perso traccia. Roman nella stesura della sceneggiatura è partito da lì, dagli album di Brigitta. Sono stati la sua materia prima.

Barbareschi sul red carpet manca di un certo appeal (mi hanno spiegato i connaisseur festivalieri) non manda in visibilio la folla dei curiosi, pigiati e appoggiati alla transenne per applaudire i suoi idoli. Arriva Fanny Ardant, bellissima, elegantissima, per lei c’è l’ovazione, il pubblico l’accoglie con lungo applauso, i fotografi con pioggia di flash. Barbareschi si gioca allora la carta “democratica”, si avvicina e dà la mano a quelli della prima fila. Arrivano poi quattro attori, tutti bravissimi a interpretare le stravaganze dei ricconi ma abbastanza sconosciuti al pubblico nostrano. Gli applausi sono più di cortesia che di grande euforia.

Roman, lui sì che avrebbe avuto il bagno di folla dei suoi adoranti. Lo avrebbe avuto anche Sydney Rome, si sono ritrovati sul set dopo 50 anni. Roman l’aveva diretta 50 anni fa nel film Che? con Marcello Mastroianni.

Mi telefona Roman: “Tu dois y aller”, visto che ho girato una piccola parte in The Palace. Entro nella platea gremitissima della Sala Grande del cinema del Lido. Alberto Barbera, il direttore artistico della Mostra del Cinema, introduce il film in maniera molto asciutta. Neanche una volage citazione ai 90 anni del maestro appena compiuti o ai suoi capolavori che hanno segnato la storia del cinema, Chinatown, Rosemary’s Baby, Il Pianista (premio Oscar), L’Ufficiale e la Spia. Invece viene premiato un “non so chi sia”… con la targa Campari giusto per tendere ancora un po’ la manina a uno degli sponsor.

Mi affaccio in platea solo per filmare l’ovazione di applausi a Polanski prima della proiezione. Li mando via Whatsapp all’amico Roman mentre scappo, avvolta in un abito sirena di Ermanno Scervino, all’Arsenale alla super festa, blindatissima di Giorgio Armani per celebrare il Grande Cinema. Starring Sophia Loren, Benicio del Toro. Il top delle celebrities di Venezia era tutto qui. Tra i più sartorialmente eleganti, in black tie Armani, lasciatemelo dire, era Giovanni Malagò. In confronto la cena di Barbareschi sulla Terrazza della Biennale, a detta di chi c’era, sembrava una simpatica merenda tra pochi amici. Rincontro l’affascinante Benicio l’indomani sulla terrazza del Hotel Gritti. Vale tutti i red carpet del mondo.

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