A un anno e mezzo dall’invasione russa dell’Ucraina, che ha generato una guerra con conseguenze globali, sono molte le analisi, i commenti e le letture che sono state realizzate per raccontare le sfumature di questa enorme crisi. Su questo stesso blog ho parlato a più riprese di come dall’America Latina sia stato visto e assimilato il conflitto, di come abbiano reagito i diversi “blocchi”, più o meno allineati con Washington e Bruxelles o più affini alla narrativa di Mosca.

Un punto però sul quale è stato ancora probabilmente scritto poco riguarda i combattenti latinoamericani presenti nelle file dell’esercito ucraino, combattenti confluiti nella Legione Internazionale di Difesa Territoriale dell’Ucraina, un corpo creato per decreto presidenziale a poche ore dall’inizio delle ostilità nel febbraio 2022. Dobbiamo partire dal presupposto che non è facile avere dati certi riguardo a quanti volontari latinoamericani siano entrati nella Legione e su quanti siano caduti in battaglia, questo anche perché i dati offerti dalle due parti in causa (Ucraina e Russia) sono contrastanti.

Nel settembre scorso un reportage del giornale tedesco Deutsche Welle aveva permesso di accedere alle testimonianze di volontari provenienti da Cile, Argentina e Venezuela che avevano già combattuto contro l’esercito russo in Ucraina. A questo si aggiunge il dato delle presenza di colombiani, ecuadoriani, messicani e brasiliani nella Legione, tutti uomini che (nella maggior parte dei casi) hanno trovato in questa guerra nel cuore d’Europa un business lucrativo. Sulle reti sociali hanno iniziato a circolare con sempre maggiore frequenza video di combattenti latinoamericani durante lo svolgimento di diverse operazioni militari. Vediamo per esempio alcuni di loro durante uno spostamento su gomma (vedi sotto), mentre pregano prima di un’operazione oppure mentre cercano di coprirsi dal fuoco nemico. Sebbene la loro presenza sia stata ampliamente comprovata, sia dalle informazioni ufficiali, sia dai canali extra ufficiali come appunto le reti sociali, il dibattito rimane però aperto su diversi punti.

Da un lato il vero contributo che questi mercenari stanno offrendo in termini di preparazione militare e di efficacia sul campo di battaglia, dall’altro il trattamento che gli stessi stanno ricevendo dai “colleghi” ucraini. Sì, perché se è vero che l’Ucraina si sta avvalendo della collaborazione di personale qualificato proveniente dai paesi della Nato e da alleati esterni, personale tecnico specializzato e capace di fornire addestramento per le attrezzature e le tecnologie più avanzate, dall’altro la “specializzazione” e “capacità militare” di chi si sta offrendo volontario dall’America Latina per lottare contro l’esercito russo è messa in discussione da più parti (in primis ovviamente dai mezzi di comunicazione russi e dalla cupola di Mosca).

Prendiamo ad esempio il caso della Colombia, che sappiamo avere lo status di alleato preferenziale strategico degli Stati Uniti ma non membro della Nato (si identifica Colombia come socio globale della Nato, unico paese latinoamericano con questo status) che da un lato ha offerto ufficialmente personale esperto in sminamento per addestrare i soldati ucraini e dall’altro è una delle più grosse fucine di mercenari a livello internazionale (ricordiamo i mercenari colombiani implicati nell’omicidio del presidente haitiano Jovenel Moïse). Quale sia il contributo reale che questi combattenti volontari colombiani stiano offrendo alla lotta rimane campo aperto di discussione, anche se da Mosca arriva una lapidaria analisi che li descrive semplicemente come “carne da cannone” usata da Zelensky per salvaguardare le vite dei soldati ucraini.

A questo si aggiungono vari video (come questo pubblicato dal giornale colombiano Semana o questo pubblicato da TeleMedellin) nei quali si denunciano i maltrattamenti e la discriminazione subita dai colombiani in Ucraina, proprio dai compagni di lotta ucraini con i quali devono condividere trincee, sangue e sudore. Narrativa che parrebbe smentita però da un recente reportage dal titolo “Ucraina, nelle viscere della guerra” realizzato dalla famosa rete colombiana NTN24, che attraverso uno dei suoi più esperti e “vissuti” giornalisti, Jefferson Beltrán, ha intervistato nella stazione dei treni di Kharkiv il volontario colombiano Fabían Eduardo Coy. L’intervista è un vero e proprio manifesto di come Fabián sia stato ricevuto a braccia aperte in Ucraina, di come abbia trovato una nuova ragione di vita, oltre ad una moglie, in una terra scossa dal conflitto ma capace di dare calore e affetto (e soldi) a chi è disposto a rischiare la sua vita per difenderla. Beltrán infatti, nel commentare la sua stessa intervista, spiega come Fabián gli abbia confessato di non spendere quasi nulla dei 3-4mila dollari che riceve al mese, perché in un atto di gratitudine e generosità sarebbero gli stessi civili ucraini a provvedere a tutti i suoi bisogni.

Il capitolo dei combattenti latinoamericani in Ucraina rimane perciò un cono d’ombra non facile da illuminare, ma nel quale si capisce e si intuisce sia arrivata una guerra di propaganda e contropropaganda per magnificare o demonizzare quello che vivono sul fronte questi volontari che hanno attraversato l’Atlantico per combattere (e alle volte morire) per una guerra che non è la loro.

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