Le autorità israeliane ricorrono abitualmente alle demolizioni, a scopo punitivo, delle abitazioni di familiari di palestinesi che hanno condotto attacchi contro le forze o i civili israeliani. Hanno ripreso a farlo nel 2014, dopo una pausa di nove anni seguita alla valutazione di una commissione militare, che era giunta alla conclusione che le demolizioni delle case non avessero alcun effetto deterrente.

Da allora, centinaia di palestinesi hanno perso le loro abitazioni, spesso a seguito di raid dell’esercito che hanno terrorizzato la popolazione locale e causato danni ad altre strutture. Poi ci sono le demolizioni per “abusivismo” o perché i terreni servono a scopo militare o all’espansione degli insediamenti o, semplicemente, a espellere i palestinesi da Israele.

Ma torniamo alle demolizioni a scopo punitivo. Il 25 agosto la Corte suprema israeliana ha autorizzato la demolizione dell’abitazione della famiglia di Mohammed Zalabani, un palestinese di 13 anni in detenzione preventiva da febbraio con l’accusa di omicidio. I giudici hanno respinto il ricorso dell’organizzazione non governativa israeliana HaMoked. Giovedì scorso la squadra di demolitori si è palesata annunciando che sarebbe entrata in azione nei giorni successivi.

L’abitazione in questione, di tre piani, si trova nel campo rifugiati di Shu’afat, a Gerusalemme Est occupata. Ci vivono i genitori di Mohammed Zalabani insieme ad altri tre figli, uno dei quali è nato da poco. Non solo i parenti di Zalabani rischiano di perdere tutto e di essere nuovamente sfollati senza avere alcuna responsabilità penale. La stessa pubblica accusa ha riconosciuto che la famiglia non sapeva nulla dell’attacco. Ma a rendere ancora più grave la vicenda è il fatto che Zalabani non ha commesso l’omicidio del quale è accusato.

Il ragazzo ha effettivamente accoltellato un soldato israeliano che stava controllando i passeggeri di un autobus al posto di blocco di Shu’afat ma è stata una guardia privata di sicurezza, accidentalmente, a esplodere il colpo mortale. L’autopsia ha confermato che il soldato è stato ucciso da un proiettile e non da una coltellata.

Quando la demolizione della famiglia Zalabani sarà eseguita, si tratterà della quattordicesima dall’inizio dell’anno. Secondo il diritto internazionale queste demolizioni sono un punizione collettiva: una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e un crimine di guerra ai sensi dello Statuto della Corte penale internazionale. Più volte le Nazioni Unite hanno chiesto a Israele di porvi fine.

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