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Si riapre il giallo di via Poma: “Simonetta Cesaroni uccisa da un serial killer venuto dal Nord, il ‘mostro di Bolzano'”

Questa è la nuova ipotesi del giornalista Paolo Cagnan giornalista e scrittore, racchiusa nel suo libro-inchiesta "Anatomia di un serial killer - Marco Bergamo, storia del mostro di Bolzano" (Athesia)

di Alessandra De Vita

Ad uccidere Simonetta Cesaroni quel 7 agosto del 1990 in un ufficio dell’Aiag, potrebbe essere stato Marco Bergamo meglio conosciuto come il ‘mostro di Bolzano’: è la nuova ipotesi del giornalista Paolo Cagnan giornalista e scrittore, racchiusa nel suo libro-inchiesta “Anatomia di un serial killer – Marco Bergamo, storia del mostro di Bolzano” (Athesia). Sul giallo di via Poma sono stati riversati fiumi di inchiostro in questi 33 anni che hanno visto tre indagati, tutti prosciolti, nell’ordine: il portiere dello stabile Pierino Vanacore, il figlio dell’architetto Cesare Valle, Federico e l’ex fidanzato Raniero Busco. Sono state percorse piste ancora battute dagli inquirenti dopo la riapertura delle indagini, lo scorso anno, grazie a un esposto della sorella di Simonetta, Paola. Ma mai nessuno aveva tirato in ballo il mostro di Bolzano, morto a 51 anni, il 16 ottobre 2017, a Bollate dove stava scontando l’ergastolo.

Il mostro di Bolzano
Chi era Marco Bergamo? Un ragazzo di buona famiglia, dai modi gentili, con un buon lavoro, introverso, anche per via dell’obesità e di una malattia della pelle, la psoriasi. Vive ancora con i suoi genitori ed è figlio unico. Fin dai tredici anni colleziona, tra le altre cose, anche dei coltelli, tanto da averne sempre uno con sé. È anche uno con cui sarebbe meglio non restare chiusa in ascensore e nemmeno nell’abitacolo dell’auto in cui il’ mostro di Bolzano’ ha messo in atto i suoi truci femminicidi. Come tutti i serial killer, anche Bergamo aveva dei tratti peculiari con cui firmava i suoi crimini. Le sue vittime erano quasi tutte prostitute. La notte del 7 gennaio 1992, alle 22, un’auto si ferma nel parcheggio all’aperto del distributore di via Renon, a Bolzano. Dentro c’è un uomo alto, con i baffi evidenti, e affianco a lui c’è Renate Rauch, di 24 anni, giovane donna tossicodipendente costretta dalle sue dipendenze alla vita da marciapiede. Il padre di Bergamo sa bene che quel suo figlio così problematico ha una collezione di coltelli, ma non immagina a cosa possano servirgli. Quella notte, Bergamo li utilizza per sferrare 24 colpi mortali alla povera Renate. Tutti sul lato sinistro del corpo, perché la Rauch viene uccisa mentre era seduta in auto. Ha provato strenuamente a difendersi, ma c’è poco da fare quando all’improvviso un uomo armato di lama ti si avventa addosso con tutta la sua furia e l’intenzione di ucciderti. Bergamo, all’indomani se ne va a sciare a Valles. Non ricorda bene ciò che ha fatto ma sa che ha ucciso una ragazza, dirà poi. Sulla tomba della vittima lascia un biglietto: “Mi dispiace, ma quello che ho fatto doveva esser fatto e tu lo sapevi. Ciao Renate, M.M.”.

L’arresto
Quando lo arrestano, nel 1994, mentre tenta di fuggire da Bolzano e forse dall’Italia a bordo della sua Seat Ibiza rossa, viene fuori che non ha ucciso solo la Rauch ma che ha iniziato con Marcella Casagrande, il 3 gennaio del 1985, ma ha ammazzato anche Annamaria Cipolletti, Renate Troger, Marika Zorzi. La sentenza venne emessa l’8 marzo 1994, condannando Bergamo per i cinque omicidi. Bergamo nega di aver ucciso la seconda vittima, Anna Maria Cipolletti, e la quarta, Renate Troger. Il tribunale, però, sulla base dei tratti comuni che uniscono i crimi lungo un filo più che visibile, lo condanna comunque per tutti e cinque gli omicidi. La Corte di Assise di Bolzano arrivo alla conclusione che “Bergamo è giunto alla perversione estrema: l’omicidio per godimento. Dopo il primo assassinio ha scoperto che uccidendo appagava il suo piacere, e nello stesso tempo distruggeva l’oggetto temuto e odiato: la donna. […] Per Bergamo, uccidere rappresentava ormai l’estrema perversione sadica, la modalità più forte per possedere la donna”.

Via Poma
Un allora cronista del quotidiano locale Alto Adige, Paolo Cagnan, gli scrive e Bergamo gli rispose così: “Io sottoscritto Bergamo Marco ho commesso solo tre omicidi e li ho confessati, gli omicidi Troger e Cipolletti li ha commessi una seconda persona potenzialmente più pericolosa di me”. Ed è lo stesso Cagnan, oggi condirettore de Il mattino di Padova e altri tre quotidiani veneti, ad aggiungere un tassello a questa truce storia che dal profondo nord-est sposta il confine fino al quartiere della Roma bene, Prati, dove nel 1990 ha trovato un tragico epilogo la povera Simonetta Cesaroni. Oltre trent’anni dopo, Cagnan rimette insieme tutti i tratti che configurano la psiche deviata di Bergamo, le dinamiche nella serie di femminicidi, e traccia dei legami con il giallo dei gialli, il delitto di via Poma. Cagnan cita dieci elementi a supporto della sua idea. Ipotesi che ha inviato anche alla Procura di Roma, e che, a distanza di anni, potrebbero ancora essere oggetto di verifiche nell’ambito del fascicolo contro ignoti aperto. Basterebbe fare dei raffronti tra le tracce di Dna del possibile assassino di Simonetta, rinvenute sull’ascensore dello stabile, e il profilo biologico e genetico del ‘mostro di Bolzano’ la cui matrice assassina, secondo Cagnan, seguiva una dinamica molto simile a quella dell’omicidio di Simonetta, barbaramente uccisa dopo aver rifiutato un approccio sessuale da parte del suo killer da cui avrà provato a difendersi.

C’è inoltre il feticismo come segno ciclico degli omicidi di Bergamo e che compare anche in quello di via Poma, basti pensare alle scarpe Superga ritrovate ben allineate in un angolo della stanza, in contrasto con la furia omicida che ha devastato il corpo di Simonetta. Un altro possibile legame è tracciato dai tratti fisici comuni tra la Cesaroni e le altre cinque donne ammazzate da Bergamo, secondo Cagnan. Ci sarebbe, secondo il giornalista, anche la testimonianza di una ex Sysop (moderatrice) di alcune chat del Videotel, antenato dei nostri social network, secondo cui Marco Bergamo e Simonetta Cesaroni potrebbero aver interagito in quel luogo virtuale. Cagnan mette in risalto nelle sue ipotesi anche le ripetute assenze dal lavoro di Bergamo e una revisione del suo alibi per il 7 agosto 1990.

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