di Sara Gandini e Paolo Bartolini

Numerose riviste mediche, tra cui The BMJ e Lancet, hanno lanciato un appello urgente per l’eliminazione delle armi nucleari, avvertendo che il “pericolo è grande e crescente”. Una guerra nucleare su larga scala, ad esempio tra Stati Uniti e Russia, potrebbe uccidere 200 milioni di persone o più nel breve termine, e potenzialmente causare un “inverno nucleare” globale che finirebbe per minacciare la sopravvivenza dell’intera umanità. Allo scoppio delle prime testate atomiche potrebbe seguire un’escalation inarrestabile. Lo urlano nel deserto anche pacifisti e intellettuali prontamente etichettati dal mainstream come pericolosi amici di Putin. A tanto può arrivare la cecità ideologica dell’establishment europeo e angloamericano.

Il pericolo, tuttavia, è grande e crescente. Gli stati dotati di armi nucleari devono eliminare i loro arsenali nucleari prima di eliminare noi. Non dimentichiamo, inoltre, l’impatto degli armamenti sugli ecosistemi. In un momento nel quale i mass media descrivono scenari catastrofici per sensibilizzare le popolazioni al tema dei cambiamenti climatici in atto, è surreale che i medesimi agenti del sistema informativo aderiscano totalmente alla propaganda di guerra, aumentando il rischio di un conflitto nucleare senza ritorno.

La comunità sanitaria e scientifica ha svolto un ruolo decisivo durante la Guerra Fredda e, più recentemente, nello sviluppo del Trattato sulla Proibizione delle Armi Nucleari. Dobbiamo riprendere questa sfida come una priorità urgente, lavorando con rinnovata energia per rendere il disarmo nucleare un obiettivo realistico nel medio termine.

È evidente che questa richiesta si infrange sul muro dell’attuale situazione internazionale, nella quale i diversi blocchi di interessi nazionali si avvalgono della minaccia atomica per dissuadere gli avversari ad oltrepassare una certa soglia.

La radicale inversione di marcia sul nucleare dovrebbe essere il primo gesto condiviso di una comunità internazionale da ripensare interamente, finalmente orientata in modo consapevole verso un mondo multipolare regolato da nuovi accordi tra le potenze emergenti (Brics) e quelle declinanti (Usa+Ue…). L’invasione russa in Ucraina ha portato tragicamente alla nostra attenzione come la posta in gioco della guerra non sia la risoluzione di determinate tensioni “regionali”, bensì un irrimandabile riequilibrio di potenze che riguardi il futuro della nostra umanità plurale. Se non accettiamo il tramonto dell’egemonia occidentale (ormai incipiente anche nel continente africano), il cammino verso un disarmo nucleare completo rimarrà impensabile, condannandoci a decenni di paura.

Eppure, nonostante possa sembrare irrealistica, qualunque ipotesi di ridurre ampiamente le spese militari e di cancellare dalla faccia della Terra gli arsenali atomici porta con sé un nucleo di utopia irrinunciabile, essendo indubbiamente – come ribadisce spesso il Papa – l’unica via per sottrarre le nostre esistenze al controllo e all’influsso velenoso dell’industria bellica.

Nel libro Al mercato della felicità. La forza irrinunciabile del desiderio Luisa Muraro racconta un’enigmatica storia che narra della forza politica del desiderio: una vecchia va al mercato per comprarsi l’ebreo Giuseppe, lo schiavo più bello di tutti, offrendo alcuni gomitoli di lana da lei stessa filati. “Anima semplice” le disse il sensale “come puoi comprare un simile gioiello di schiavo con i tuoi gomitoli?”. “Lo so che non potrò comprarlo” rispose la vecchia, “mi sono messa in fila perché amici e nemici possano dire: anche lei ci ha provato”. Si tratta di un racconto riportato in un antico testo persiano di un mistico islamico, contemporaneo a San Francesco.

Cosa ci insegna questa storia? L’anziana donna si muove per mostrare il suo desiderio a tutti. Perché le possibilità di un desiderio grande e fuori misura sono molto più grandi di quelle di un bisogno soddisfatto. Si tratta della forza testarda e immortale del desiderio, un desiderio che non teme di essere percepito come sproporzionato. Anche senza mezzi adeguati, è pronto a scontrarsi con la realtà e a metterla alla prova, poiché, come scrive Muraro, “il reale non è indifferente al desiderio, non assiste indifferente alla passione del desiderio”.

Dobbiamo ricordarci, infine, che rinunciare al proprio desiderio è l’inizio della passività e della rassegnazione, la precondizione di ogni schiavitù.

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