Il nuovo contratto della scuola firmato da Aran e sindacati spacca il fronte “antigender” della destra di governo. A poche ore dall’articolo de ilfattoquotidiano.it che per primo ha notato l’inserimento, nel contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto istruzione, di un articolo che garantirà agli insegnanti transgender il diritto ad avere i bagni neutri, l’identità alias su cartellini, posta elettronica e su tabelle orarie esposte negli spazi comuni, nel mondo “teocon” crescono i mal di pancia.

A schierarsi, dopo l’accordo contrattuale siglato venerdì con i sindacati, ad eccezione della Uil, è l’ex senatore Simone Pillon che parla di “errore”, così come si dichiara preoccupato il leader del “Family Day” Massimo Gandolfini. Ma non solo. Il quotidiano “La Verità” con un articolo a firma di Elisabetta Frezza critica la scelta dell’ Aran, l’agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni che ha siglato (per conto del Governo) il contratto: “Deve essere partito un ordine dalla centrale, con ricchi premi e cotillon per chi, con scatto felino, riesca a piantare la bandierina prima che gli altri abbiano tempo e modo di capire cosa stia succedendo”. Il giornale diretto da Maurizio Belpietro se la prende con Valditara senza tanti giri di parole: “Mentre la scuola italiana affonda, mentre l’analfabetismo dilaga, mentre i ragazzi soffrono all’inverosimile le conseguenze di due anni di restrizioni e di sospensione delle normali attività scolastiche, culturali e ricreative, è davvero questa l’impellenza assoluta?”.

In queste ore, dal canto suo, l’inquilino di viale Trastevere, a seguito anche del nostro articolo, ha messo le mani avanti con una nota ufficiale: “In merito alla norma sull’identità alias per i docenti in transizione di genere, contenuta nel contratto di Istruzione, università e ricerca, si precisa che si tratta di una clausola già presente in tutti i contratti della Pubblica amministrazione, da ultimi quelli sugli enti locali, e sulla Sanità. La clausola trova fondamento in una legge del 1982 e in alcune sentenze della Corte costituzionale sulla transizione di genere. Consente il cambio del nome all’interno dell’istituto scolastico per coloro che abbiano già iniziato il percorso di transizione di genere, il che presuppone preventivi passaggi giudiziari e sanitari. La clausola è nata da un confronto tra i Sindacati e l’Aran”.

Un risultato che non piace all’ex senatore Pillon: “Anticipare gli effetti della transizione mediante la “carriera alias”, significherebbe dare rilevanza al mero elemento volontaristico, violando il precetto costituzionale e attestando falsamente in documenti pubblici “l’identità, lo stato o altre qualità della propria o dell’altrui persona”. Ecco perché si tratta di un errore, e il fatto che sia già applicato in altre amministrazioni pubbliche è ragione di ulteriore preoccupazione. Si vorrebbe “tutelare il benessere psicofisico dei lavoratori transgender”, ma noi vogliamo che sia tutelato anche il benessere psicofisico dei bambini che rischiano di vedersi il maestro diventare maestra, magari con tanto di dettagliata spiegazione e conseguente lezioncina LGBTQI+”.

Insomma, il leghista bresciano, ultra-conservatore e anti-gender, è sobbalzato sulla sedia quando ha letto l’articolo 21 del contratto che dice espressamente: “Al fine di tutelare il benessere psicofisico di lavoratori transgender, di creare un ambiente di lavoro inclusivo, ispirato al valore fondante della pari dignità umana delle persone, eliminando situazioni di disagio per coloro che intendono modificare nome e identità nell’espressione della propria autodeterminazione di genere, le amministrazioni riconoscono un’identità alias al dipendente che ha intrapreso il percorso di transizione di genere di cui alla Legge 164/1982 e ne faccia richiesta tramite la sottoscrizione di un accordo di riservatezza confidenziale. Modalità di accesso e tempi di richiesta e attivazione dell’alias saranno specificate in apposita regolamentazione interna, la carriera alias resterà inscindibilmente associata e gestita in contemporanea alla carriera reale”.

A sollevare dubbi sulla nuova norma è anche Gandolfini, medico chirurgo, specialista in neurochirurgia e psichiatria che nel 2022, in occasione della presentazione del libro di Pillon dichiarava: “Oggi, l’aspetto più preoccupante è che le teorie del gender non sono più “speculazioni di una nicchia di filosofi come all’inizio” ma passano attraverso “un’azione di indottrinamento ideologico nelle nostre scuole”. La “carriera alias”, ad esempio, è uno “strumento amministrativo devastante” adottato ormai in 144 istituti scolastici italiani”. Il presidente del Family Day alza però le mani di fronte al contratto: “Non si è fatto nient’altro che applicare una norma che già c’era. Non mi meraviglia che il Governo abbia preso questa decisione”.

Gandolfini, che conduce da sempre una battaglia contro la carriera alias che definisce, appunto, “strumento amministrativo devastante” denunciando “un’azione di indottrinamento ideologico nelle nostre scuole”, questa volta, di fronte alla ratifica del governo, non attacca e si mostra comprensivo, arrendendosi al fatto che “viene applicata una norma che già c’era”. Una posizione, quella del chirurgo teocon che se da una parte non si schiera contro Valditara apertamente dall’altra avanza molti dubbi: “Il tema di fondo è un altro: tutelare il benessere psicofisico non solo del docente ma prima di tutto del bambino. Provi a pensare a un ragazzino di nove-dieci anni che si trova ad avere in aula per i primi due tre mesi di lezione il maestro Mario che dopo qualche tempo si chiama Maria e si veste da donna e usufruisce di bagni neutri etc. Tutto ciò crea confusione, caos”.

Il medico parla di “incongruenza” quando pensa all’articolo 21: “E’ una contraddizione. La carriera alias ora passa nel mondo della scuola ma per questioni esterne al pianeta dell’istruzione non va. Delle due l’una: o mai o sempre”. Gandolfini teme che questa norma “sia il grimaldello per far passare la carriera alias negli studenti” e si dice pronto alla mobilitazione se fosse così. Mobilitazione che per ora, l’inventore del Family-day, preferisce tenere in stand-by.

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