C’è anche Massimo Vivoli, ex presidente nazionale di Confesercenti e attuale componente del Consiglio nazionale dell’Economia e del Lavoro (Cnel), tra le 15 persone arrestate nell’ambito di un’inchiesta sui fallimenti pilotati di decine di supermercati e negozi di cosmetici rilevati da noti marchi della grande distribuzione e poi depredati e avviati al fallimento.

Il gip Andrea Salvatore Romito considera Vivoli una persona che si era messa a disposizione della presunta organizzazione criminale, assumendo la maggioranza delle quote di una holding per poi disinteressarsi dell’effettiva gestione, lasciata in mano agli altri indagati. I promotori di quella che gli investigatori considerano un’associazione a delinquere sono Fiore Moliterni, Riccardo Pieraccini e Domenico Pilato: erano coloro che provvedevano, per la Dda, a ‘rottamare’ le società svuotate dei loro attivi, anche attribuendo cariche sociali a prestanome per rendere inefficace qualsiasi attività di recupero da parte dei creditori, in primis l’erario. Inoltre avrebbero raccolto, nascosto e organizzato il riciclaggio dei proventi.

Secondo quanto scoperto dai pm bolognesi e dagli investigatori della Guardia di Finanza locale, sono decine le attività ‘spolpate’ dall’organizzazione. Tanto da arrivare al sequestro preventivo di beni per oltre 32 milioni e alla denuncia di 32 persone, di cui 15 in arresto, per i reati di associazione per delinquere e bancarotta. Provvedimenti che hanno interessato mezza Italia, precisamente le province di Bologna, Ancona, Arezzo, Barletta, Brescia, Crotone, Foggia, Lucca, Milano, Monza e Brianza, Napoli, Parma, Pavia, Prato, Reggio Emilia, Roma, Torino, Trapani, Treviso, Udine, Venezia e Verona.

Il gruppo, noto come ‘banda del buco’ e composto da bancarottieri italiani ritenuti ‘seriali’, commetteva reati fallimentari e tributari, oltre al riciclaggio dei proventi illeciti anche tramite imprenditori cinesi compiacenti. Le indagini hanno permesso di ricostruire che l’organizzazione nel 2020 era subentrata alla guida di un gruppo societario dell’hinterland bolognese (composto da una holding e tre srl) operante nei settori della dermocosmesi e della grande distribuzione, con 32 supermercati tra Emilia-Romagna, Veneto, Toscana, Lombardia e Friuli-Venezia Giulia. Amministrando queste società, secondo la Finanza, hanno effettuato vere e proprie operazioni di sciacallaggio, provocandone dolosamente il dissesto.

Tra le principali operazioni contestate ci sono la distrazione di 25 punti vendita che, nell’imminenza del fallimento, sono stati trasferiti a new-co riconducibili all’associazione. In questo modo è stata pregiudicata la riscossione da parte dell’erario di 3,3 milioni di euro di tributi. I proventi illeciti sono stati reinvestiti in altre iniziative imprenditoriali, tra cui l’acquisto di un prosciuttificio nel Parmense, o in altri casi trasferiti a società italiane ed estere compiacenti sulla base di fatture false emesse ad hoc per giustificare i flussi finanziari. Tra queste spiccano tre cartiere formalmente con sede a Milano amministrate da due imprenditori cinesi irreperibili che, in meno di un anno, hanno emesso fatture false nei confronti di centinaia di imprese italiane per 7 milioni di euro e ricevuto bonifici sui propri conti aziendali per 11 milioni di euro. È inoltre emerso che gli imprenditori cinesi erano inseriti in un sistema di trasferimento dei fondi illeciti attraverso canali estranei ai tradizionali circuiti finanziari, così da aggirare anche i presìdi antiriciclaggio.

In sostanza, spiegano le Fiamme Gialle, le risorse frutto di operazioni commerciali fittizie venivano immediatamente trasferite in Cina, così da monetizzare l’evasione fiscale. Il collegamento tra i membri dell’organizzazione e i cittadini asiatici sono risultati essere due coniugi, lei cinese e lui italiano, residenti nell’Aretino e implicati anche in un giro di prostituzione.

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