di Giuliano Checchi

Molti ci hanno visto l’ennesimo sgarbo di una sorte avversa: morire lo stesso giorno di Berlusconi, ed essere così condannato al silenzio anche per l’estremo saluto, senza l’omaggio dell’ultimo applauso. Ma a me piace credere che Francesco sia stato più contento così. Si è risparmiato tutta l’imbarazzante ipocrisia, debordante in queste stesse ore dal mainstream, che si profunde in alti elogi funebri allo scomparso ex-Cavaliere. Mentre, i ringraziamenti tributati a Nuti e le condoglianze ai suoi familiari, vengono da persone realmente e sinceramente affezionate.

E alle persone che erano sinceramente e realmente affezionate a Francesco Nuti, corre l’obbligo di portarne il ricordo, e rendere merito alla sua più grande qualità: quella di essere stato un artista puro, uno che viveva l’arte per l’arte senza compromessi, assolutamente incapace di piegarsi alle logiche commerciali a costo di rinunciare a se stesso.

Qualcuno fa notare che i film di Nuti, abbiano smesso di incontrare il favore pubblico, proprio negli stessi anni in cui si affermava definitivamente la comunicazione berlusconiana. E’ un dato su cui riflettere… ma io credo che in realtà le cose siano andati su binari differenti. Quello di Francesco Nuti era un talento artistico senza compromessi e senza regole, che gli permetteva di ottenere risultati impensabili per chiunque altro, ma che, per contro, rendeva arduo lavorare e collaborare con lui. Lui non ascoltava niente, al di fuori della sua vocazione e del suo talento.

Si presentò al pubblico, colpendo all’istante l’immaginario collettivo. Da Madonna che Silenzio c’è Stasera, senza trascurare Ad Ovest di Paperino, e fino a Donne con le Gonne; tutte opere assolutamente imparagonabili a quelle che sarebbero poi state le commedie “usa e getta” dei decenni successivi; tutte opere permeate di quell’intensità tale, che ogni volta è guardarle la prima volta. Una comicità vera, autentica, vitale, che il pubblico amò fin da subito, e ama tuttora.

Ma successe che, ad un certo punto, a Nuti, questa comicità non bastasse più. Lui amava il pubblico, ma ancora di più amava la sua arte. E dall’artista vero che era, non poteva accontentarsi degli incassi e delle risate del pubblico; e non avrebbe mai accettato, di assestarsi su una formula commerciale e commerciabile. Voleva andare oltre, voleva allargare i suoi orizzonti ben oltre la comicità ruspante che lo contraddistingueva, ma in cui lui, dopo Donne con le Gonne, non si riconosceva più. E forse non si era mai pienamente riconosciuto. Lui non voleva più accontentarsi di fare ridere e divertire… voleva unire insieme la favola, la commedia, e il dramma umano.

Puntò tutto questo su OcchioPinocchio, il film che avrebbe dovuto significare quel salto artistico che lui ambiva (e che sarebbe in parte riuscito, qualche anno dopo, a Roberto Benigni con La Vita è Bella). Se non che il suo progetto si risolse in un tragico fallimento, e lui ne rimase distrutto. Tentò poi di tornare sui suoi passi con Il Signor Quindicipalle, Caruso, Zero in Condotta. Ma erano solo “remake di se stesso” in cui lui per primo non credeva.

Il Nuti che il pubblico aveva sempre voluto, non era più quello che Nuti voleva essere. Il resto della storia è ahimè noto.

Ma il torto più grande che si può fare a Francesco, è comunque incolparlo di essersi “autodistrutto”, di “essersela voluta”, di aver “rovinato tutto”. Tutti giudizi ingiusti e ingenerosi. E ingrati. Lui è rimasto fedele al suo talento e alla sua arte fino in fondo; ciò che lo ha colpito duramente, e da cui non si è più ripreso, è stata la delusione nel vedere che il pubblico, alla fine, si aspettava da lui solo risate e divertimento.

La vera autodistruzione, per lui, sarebbe stata piegarsi alle logiche commerciali delle commedie e degli spettacoli commerciabili. Lui era assolutamente incapace di adattarsi a questo. Non faceva parte del suo dna artistico. Ed è questo, il merito vero che deve essergli reso.

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