La lotta al lavoro sommerso per contrastare lo sfruttamento è uno degli obiettivi del Pnrr. Secondo gli esperti della materia, tra le priorità ci sarebbe anche la disciplina delle sanzioni per gli appalti illeciti, cioè quelli che mascherano una mera fornitura di personale con il solo obiettivo di ridurre i costi del committente magari eludendo obblighi fiscali e contributivi. Nella logistica gli esempi abbondano. Il governo Renzi nel 2016 li ha depenalizzati lasciando in vigore solo una sanzione amministrativa decisamente lieve: non oltre 50mila euro, che con la riduzione di un terzo scendono a meno di 17mila. “Si arriva al paradosso per cui alcune violazioni relative alla sicurezza sono sanzionate penalmente ma l’appalto illecito nel suo insieme no. È irragionevole“, spiega il magistrato Bruno Giordano, fino allo scorso dicembre direttore dell’Ispettorato nazionale del lavoro. Una contraddizione destinata a diventare ancora più evidente con l’applicazione del nuovo Codice che tra il resto consente il subappalto a cascata. Eppure il governo, stando al cronoprogramma allegato al Piano per la lotta al lavoro sommerso aggiornato il 6 aprile dalla ministra Marina Calderone, non intende intervenire.

La tabella prevede infatti solo, entro il primo trimestre 2024, un aumento dell’importo massimo della sanzione o l’eliminazione del tetto. Ma non fa menzione del “superamento della depenalizzazione” auspicato invece all’interno del documento esteso approvato a dicembre, frutto del tavolo tecnico di esperti nominati dall’ex ministro Andrea Orlando. Lì si notava che le norme in vigore non sono “un adeguato deterrente rispetto ad eventuali gravi violazioni, i cui vantaggi in termini complessivi potrebbero essere ritenuti dal datore di lavoro ampiamente superiori all’ammontare della sanzione, attraverso una valutazione di mero impatto economico, senza alcuna efficacia dissuasiva“. Rivedere al rialzo la sanzione può aiutare ma, nei tanti casi in cui il presunto appaltatore è un prestanome che si rivela nullatenente, lo Stato non vede un soldo e l’effettività della pena viene meno.

Il penale in ogni caso ha un peso assai diverso, fa notare il giuslavorista Giacomo Summa che ha seguito molti casi di somministrazione illecita di manodopera. “Gli amministratori sono chiamati a rispondere personalmente” e l’eventuale condanna li “segue” nei successivi incarichi, così come le eventuali pene accessorie in caso di reiterazione. In più “il pm ha ampi poteri di indagine, mentre nella causa di lavoro l’onere della prova è in capo al lavoratore”. Morale: “Per la deterrenza è meglio una sanzione penale anche bassa rispetto a una sanzione amministrativa”, conferma Enzo Martino, fondatore dell’associazione Comma 2 ex vicepresidente dell’Associazione giuslavoristi italiani.

L’appalto illecito è l’unica fattispecie che al momento non ricade nel penale, perché la somministrazione fraudolenta mirata ad aggirare norme di legge o di contratto collettivo, introdotta come reato dalla riforma Biagi del 2003 e a sua volta depenalizzata dal Jobs act, è stata resa nuovamente reato con il decreto Dignità del 2018 pur riducendo l’ammenda da 50 a 20 euro per giornata per ogni lavoratore. E quando si arriva al caporalato scatta l’articolo 603 bis del codice penale che prevede la reclusione da uno a sei anni e una multa da 500 a 1.000 euro per ogni lavoratore (se c’è violenza o minaccia si arriva a otto anni e multe da 1000 a 2mila euro). Ma si tratta di una fattispecie con confini molto ristretti: “Deve esserci sfruttamento, “reiterata” violazione della normativa sull’orario di lavoro, retribuzioni sotto i livelli contrattuali per più mesi, mancato rispetto delle norme di igiene e sicurezza”, spiega Giordano. “Parliamo insomma di derive, situazioni nelle quali viene calpestata la dignità”.

Restano fuori tutti i casi in cui l’appaltatore non svolge un compito definito organizzando i propri mezzi e assumendosi il rischio di impresa, come avviene in un appalto genuino, ma si limita a inviare i propri dipendenti all’azienda committente che ne diventa il datore di lavoro di fatto. L’appalto illecito va quindi a braccetto con la somministrazione irregolare, in assenza delle autorizzazioni necessarie (le agenzie di somministrazione devono essere iscritte all’albo). E spesso prende la forma di pseudo imprese o cooperative fittizie create ad hoc per fornire lavoratori con un contratto peggiore rispetto a quello applicato dal presunto committente e facili da lasciare a casa quando non servono più. Per non parlare dell’elusione degli obblighi fiscali e previdenziali. Tutti modus operandi che consentono a chi opera in maniera illecita di fare concorrenza sleale a danno dei concorrenti che operano rispettando la legalità.

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