A memoria d’uomo non era mai successo che un capo di Stato, incontrando il pontefice, aprisse sul tavolo del colloquio un grande quaderno con i punti da specificare.

Dal Papa un leader va per parlare ma anche per ascoltare. Per esporre la propria visione e al tempo stesso accogliere la prospettiva, che viene da una significativa autorità etico-politica certamente priva di divisioni militari e potere economico e tuttavia carica di una memoria secolare. A mente fredda, passato il vertice, appare chiaro che il presidente ucraino non aveva nessuna voglia di ascoltare la parola di Francesco.

Il linguaggio del corpo dice molto. Al suo arrivo nell’edificio dell’Aula Nervi, dinanzi al pontefice, Zelensky è parso a tratti impacciato come chi non sa esattamente come sedersi, come salutare, come iniziare il discorso. Zelensky sa cosa è un Papa e cosa è questo papa argentino. Ma il suo obiettivo non era uno scambio di idee.

Il suo obiettivo era spingere nell’angolo Bergoglio, sabotare ogni ipotesi di mediazione vaticana, costringerlo a confrontarsi con le richieste pressanti – e propagandistiche – del leader ucraino: 1. Unirsi alla condanna di Putin in quanto criminale, 2. Premere perché sia accettato come unico esito il cosiddetto “piano Zelensky”, che piano di pace non è ma un elenco di condizioni che una Russia in ginocchio dovrebbe essere costretta ad accettare, perché il ricatto delle sanzioni continuerebbe anche dopo la ritirata dell’esercito russo.

Ecco il perché del quadernone piazzato sulla scrivania con i punti bene in vista. Riguardanti in parte materie umanitarie (aiuti alla popolazione, scambi di prigionieri, rimpatrio dei bambini) e soprattutto richieste politiche culminanti nell’assioma che la sola pace è quella imposta da un’Ucraina vittoriosa e nei termini esatti decisi dalla leadership ucraina.

Appare così evidente il fossato tra l’obiettivo di Francesco, orientato ad un cessate il fuoco per favorire una pace negoziata, e l’impostazione di Zelensky. Fossato evidenziato persino dai doni scambiati. Da parte del pontefice la scultura in bronzo di un ramoscello d’ulivo, da parte del presidente icone forgiate nell’odio per il nemico invasore. Una madonna dipinta su una piastra antiproiettile con i colori ucraini sfregiati simbolicamente dai bombardamenti moscoviti e un altro quadro con la madonna che tiene in braccio un Bambino senza volto, tutto nero, “cancellato”: per ricordare i bambini uccisi nel conflitto.

Doni per sottolineare che il nemico è barbaro e con lui non si può trattare. E meno che mai si vogliono mediatori non graditi.

Ventiquattr’ore prima dell’arrivo di Zelensky in Vaticano la linea della leadership ucraina era stata tracciata dalle dichiarazioni del consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak: “Non esiste una via di mezzo… C’è un aggressore assoluto, la Russia, venuta per uccidere e distruggere… E c’è l’Ucraina che sta difendendo i propri figli e territori… Qualsiasi tentativo di dire semplicemente ‘fermate la guerra, venite al tavolo dei negoziati’ significherebbe costringere l’Ucraina alla sconfitta”.

Con un corollario esplicitamente all’indirizzo di papa Francesco: “Forse il Vaticano è pronto a dimostrare una comprensione molto più profonda di questi temi. Forse il Vaticano è pronto a riconoscere che la Russia… ha scatenato una grande guerra non provocata”. Uno schiaffo in faccia alla politica della Santa Sede, accusata di non essere capace di analisi adeguate e di non volere riconoscere l’aggressione di Putin. Schiaffi del genere i collaboratori di Zelensky li hanno riservati in passato alla Francia, quando Macron tentava di orientarsi su una linea indipendente, e alla Germania quando Berlino si mostrava restia all’escalation degli armamenti.
Ora tocca al Vaticano. Sabato sera Zelensky in maniera appena un po’ più garbata ha ribadito: “Con tutto il rispetto per Sua Santità, noi non abbiamo bisogno di mediatori”. C’è un solo piano di pace ed è quello ucraino.

Unica reazione vaticana: all’Angelus di domenica il pontefice non ha nominato l’incontro con Zelensky. Segno che non lo ritiene minimamente produttivo ai fini di frenare l’escalation verso un conflitto sempre più sanguinoso e pericoloso.

Da questo punto di vista Francesco è solo in Europa. Germania e Francia hanno rinunciato a svolgere qualsiasi ruolo. La presidente della Commissione europea Von der Leyen si presenta ormai lanciata in una retorica guerresca, che sfocia nel paradossale. Ieri ad Aquisgrana, quando a Zelensky è stato conferito il Premio Carlomagno, ha esclamato: “Siamo al fianco del popolo ucraino finché, insieme, non raggiungeremo l’impossibile”.

Alla diplomazia vaticana non sfugge peraltro che il governo di Kyiv può usare questi toni ultimativi soltanto perché si sente protetto direttamente da Washington. Finché negli Stati Uniti si afferma che la pace si fa soltanto alle condizioni stabilite dall’Ucraina, la leadership di Kyiv può giocare continuamente al rialzo.

Il Vaticano insiste però nel rimanere al di sopra dei contendenti. Francesco non ha nessuna intenzione di regredire ai tempi di Pio XII, quando la Chiesa era protagonista della Guerra fredda. Francesco preferisce che oggi la Santa Sede sia dalla parte di quegli Stati (la maggioranza della popolazione mondiale), che vogliono chiudere il conflitto e ritengono superata l’idea di una egemonia unipolare sul pianeta.

È sintomatico che in una recente intervista al giornale dei vescovi Avvenire il capo della chiesa greco-cattolica ucraina mons. Shevciuk abbia sottolineato che il governo ucraino “non capisce l’idea di una conferenza (mondiale, con tutti i nuovi protagonisti della scena internazionale) sintetizzata nella formula Helsinki-2”. È singolare questa antipatia di Kyiv verso una conferenza internazionale per stabilire le nuove regole di convivenza del pianeta nel XXI secolo. Ma l’apparente stranezza si spiega se si guarda a Washington, che non ne vuole sentire parlare.

Nel grande risiko geopolitico apertosi con la guerra d’Ucraina, Zelensky e i suoi protettori forse sottovalutano la lucidità di una potenza disarmata, che da Giovanni XXIII a Giovanni Paolo II, da Paolo VI a Francesco ha dimostrata di non essere proprio stupida nel valutare le dinamiche internazionali.

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