Oltre al danno anche la beffa. Neanche 5 anni fa avevano speso più di 400mila euro per restaurare la facciata e un bel mattino di marzo se la sono vista sfondare e si sono trovati con due nuovi accessi al palazzo sul lato strada. Che serviranno a far entrare i clienti del ristorante in via di apertura nel condominio di piazza Cavour 3 a Roma. E loro, i condomini del palazzo romano di fine ottocento che si trova di fronte alla Corte di Cassazione, non hanno autorizzato nè l’apertura della facciata nè tanto meno quella del locale.

Anzi, avvisati dei lavori pochi minuti prima dell’avvio del cantiere, hanno cercato di opporsi rivolgendosi a Tribunale, Tar, Sovrintendenza e Campidoglio. Il giudice di primo grado però non ha ritenuto che ci fosse alcun pericolo imminente per il bene comune dei ricorrenti, che avevano chiesto il divieto all’apertura delle nuove porte su strada. Cosa che esula dalle sue competenze, in quanto stabilire se l’opera è legittima o meno non è a parere del giudice una valutazione immediata nè scontata. E così, “stante la ripristinabilità dello status quo ante”, il danno eventualmente causato dalle aperture se ritenute in seguito illegittime, è stato valutato sopportabile e rimediabile: in altre parole, si sfondi pure il muro ottocentesco, poi al massimo si ricostruisce com’era prima. Il ricorso quindi è stato respinto e il muro … sfondato.

Una sentenza quasi epocale in Italia e ancora di più a Roma dove le Belle arti hanno sempre la prima e l’ultima parola. Il punto su cui ruota tutta la vicenda è che il futuro ristoratore ritiene che in origine le finestre del suo appartamento, che si trova al piano terra, fossero delle porte finestre perché così erano state disegnate nel progetto del milleottocento. Quindi in Comune è stata presentata una pratica edilizia in cui si parla di ripristino. Tuttavia i condomini, confortati da una perizia tecnica, ritengono che le porte finestre non siano mai state realizzate e la situazione pre-sfondamento fosse quella originaria. Non solo, l’autore della perizia rilevava come lo sfondamento del muro con l’apertura delle nuove porte finestre avrebbe creato un problema di ordine igienico-sanitario in quanto avrebbe comportato la chiusura delle bocche di lupo che portavano aria e luce al seminterrato.

Ma soprattutto, l’architetto Maurizio Moretti sottolinea come la pratica edilizia dell’aspirante ristoratore sia incompleta e al Campidoglio non se n’è accorto nessuno. Eppure manca una cosa non secondaria, cioè il permesso del condominio ai lavori sulle parti comuni, come previsto dal regolamento condominiale.

La lite già inusuale in alcuni tratti, assume contorni ancora più peculiari se si va a vedere chi sono gli attori in causa. L’immobile è di una società che si chiama L3L-CO di proprietà di Edoardo Lofoco, l’amministratore unico è la sua compagna Julinda Llupo, 37 anni, di Tirana. La signora è nota alle cronache da più di un anno per essere stata segnalata dall’antiriciclaggio, in quanto nel corso del 2020 aveva ricevuto una serie di bonifici da Silvio Berlusconi con la causale “regali” o “prestiti” per un totale di circa 70mila euro. La cosa aveva destato particolare curiosità per la signora Llupo che con le società del compagno fa l’affittacamere e aveva usato parte del denaro per pagare l’affitto a un magistrato della Corte di cassazione, Cosimo D’Arrigo. Nel 2012 il giudice era stato membro del collegio che aveva scagionato Berlusconi in uno dei filoni del processo sui fondi neri di Mediatrade.

Interpellato da Domani, che aveva raccontato per primo la vicenda dei pagamenti di Berlusconi alla signora Llupo, D’Arrigo aveva tra il resto raccontato di un contratto d’affitto e di pagamenti saltati da parte della coppia: “Non mi pagano regolarmente nemmeno adesso, ma sono persone umili. E poi se li mando via in quanto insolventi, con il Covid a chi posso mai affittare il locale? Almeno guadagno qualcosa. Dei soldi o dei loro legami economici del mio ex imputato Berlusconi non sapevo nulla. Non sapevo nemmeno che devono pagare 4.500 euro al mese di mutuo”, aveva replicato. Mentre dall’entourage di Berlusconi la risposta era stata che la Llupo era una delle tantissime persone che a quei tempi avevano chiesto e ottenuto aiuto economico ad Arcore. “Non sappiamo nemmeno se si conoscano personalmente”, era stata la precisazione.

A difendere la coppia contro il condominio che nei giorni scorsi si è rivolto senza successo anche alla Polizia Municipale per una verifica della sicurezza dell’edificio, è l’avvocato Antonino Galletti che fino al 7 dicembre scorso era presidente dell’ordine degli avvocati di Roma. Oltre ad essere tra i soci fondatori dell’Associazione strutture ricettive extralberghiere di cui Lofoco è direttore generale. Mentre tra i pochi condomini a favore della coppia di imprenditori, c’è l’ormai ex Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti che ha venduto l’immobile a Lofoco nel 2020 per 700mila euro.

Insomma, le spese si sommano per la coppia che deve fare i conti anche con quella non secondaria per l’apertura e il lancio di un locale inviso ai vicini, con tutto ciò che ne consegue per una società che ha chiuso il 2021 con una perdita di 135mila euro non ripianata ai sensi del Milleproroghe 2022 e debiti per 1,3 milioni. A che pro quindi e con quali forze economiche insistere per aprire un’attività proprio dove rischia di essere più cara per il solo fatto di non essere autorizzata dai condomini? “Ma questa è una domanda? Si tenga la curiosità”, è la risposta di Lofoco. Anche per quanto rguarda quella sul finanziamento dell’operazione: Silvio Berlusconi non aiuta più? “Ma vaffanculo deficiente”. E riattacca.

***
Si precisa che alla data di pubblicazione dell’articolo il signor Lofoco non era più proprietario della L3L-CO, come indicato, un’inesattezza di cui ci scusiamo con l’interessato e i lettori: le quote di Lofoco erano infatti state cedute in due tranches alla signora Llupo. Tuttavia Lofoco, era proprietario e amministratore della società al momento dell’acquisto dell’immobile al centro della vicenda.

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