Il Consiglio superiore della magistratura ha approvato con 14 voti favorevoli, nove contrari e sette astenuti l’autorizzazione all’incarico fuori ruolo per Rosa Patrizia Sinisi, 66enne presidente della Corte d’Appello di Potenza, scelta dal Guardasigilli Carlo Nordio come vicecapo del Dog (Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria), la struttura ministeriale che da Roma gestisce l’immensa macchina della giustizia italiana. Il via libera è arrivato al termine di un’accesa discussione che ha spaccato il plenum di palazzo dei Marescialli. Sull’opportunità della nomina, infatti, pesavano le chat imbarazzanti della giudice con Luca Palamara, acquisite agli atti del primo processo di Perugia a carico dell’ex ras delle correnti, che scoperchiò un sistema definito da Nordio “un verminaio“. Nei messaggi, la giudice raccomandava colleghi a lei vicini per i vertici degli uffici giudiziari di tutta la Puglia, da Taranto a Brindisi, da Bari a Lecce: per questo motivo, appellandosi al prestigio della magistratura, la maggioranza dei consiglieri del Csm ha scelto di non dare il proprio assenso all’incarico. Ma la proposta favorevole è passata comunque, grazie alle astensioni del gruppo “moderato” di Unità per la Costituzione (Unicost) lo stesso a cui appartiene Sinisi e apparteneva Palamara. Hanno votato contro sette consiglieri delle correnti progressiste (cinque di Area, Mimma Miele di Magistratura democratica e Roberto Fontana), il togato indipendente Andrea Mirenda e i laici Roberto Romboli (in quota Pd) e Michele Papa (in quota M5s). A favore, invece, tutti i laici eletti su indicazione del centrodestra, il renziano Ernesto Carbone e i togati di Magistratura indipendente, la corrente conservatrice (compresa la prima presidente della Cassazione Margherita Cassano, membro di diritto).

Le chat: “Dammi i nomi”, “Il posto era nostro” – Ma quali erano di preciso i rapporti tra Palamara e la neo-dirigente del ministero? Per capirlo è utile leggere gli atti del procedimento per incompatibilità ambientale nei confronti di Sinisi, aperto nel 2020 dopo la trasmissione degli atti da Perugia. Nella relazione firmata dall’ex consigliere Nino Di Matteo si legge che la magistrata, “legata a Palamara da ragioni di militanza associativa, aveva in più occasioni interloquito con il medesimo sulle procedure di conferimento di incarichi, rivendicando addirittura in un caso “l’appartenenza” del posto” a Unicost: “È importante, il posto era nostro”, gli scriveva a giugno 2018, caldeggiando la nomina di un sodale a capo di una delle sezioni penali del Tribunale di Lecce. A dicembre 2017 era stata altrettanto esplicita: “Caro Luca, mi potresti fare un regalo di Natale? Circola voce che in questa settimana verranno decisi i posti di presidente sezione civile dei Tribunali di Lecce e Taranto. C’è molta attesa tra i nostri colleghi”. “Volentieri, dammi i nomi”, rispondeva l’ex pm. Che poi le riferiva sugli sviluppi delle pratiche: “Grande vittoria sul filo di lana, ennesimo bel successo ma faticosissimo… Per gli altri posti ti aggiorno prontamente…”. “Non unanimi ma blindati… accordo tra noi e Area” (la corrente progressista). “Siamo in plenum… tutto sotto controllo”. A sua volta la giudice consigliava all’ex pm come votare secondo i desiderata del territorio: “Se puoi almeno astieniti per evitare brutte figure”, “L’importante è dissociarsi”.

“Ricaduta negativa su imparzialità e indipendenza” – Di queste e altre chat Di Matteo sottolineava l’”inopportunità” e la “rilevanza deontologica”, nonché l’evidente idoneità “a determinare una ricaduta negativa sull’immagine di imparzialità e indipendenza“. Ma concludeva che da sole non bastavano a giustificare un trasferimento, in quanto non incidevano “su vicende relative al distretto di appartenenza” della magistrata, cioè Potenza. Il pm antimafia suggeriva che i rapporti tra Sinisi e Palamara avrebbero potuto essere “valutati in altre sedi consiliari, quali quella relativa alla procedura di conferma nell’incarico direttivo”, prevista in teoria alla scadenza dei primi quattro anni. Ma per la giudice – come per decine di altri magistrati “problematici” – quella procedura è stata fatta slittare a data da destinarsi: il primo quadriennio da presidente della Corte d’Appello infatti sarebbe scaduto a settembre 2020, ma Sinisi è rimasta in carica per altri due anni e mezzo senza che nessuno l’abbia mai valutata. Nonostante le dure osservazioni di Di Matteo, la magistrata ha potuto anche evitare il procedimento disciplinare grazie alla contestatissima “dottrina Salvi“, dal nome dell’ex procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, che ha escluso la rilevanza deontologica delle chat “promozionali”, in una sorta di generale amnistia per le decine di magistrati coinvolti.

I laici di centrodestra: “Ci prendiamo le nostre resposabilità” – Eppure la maggioranza dei consiglieri nutriva forti dubbi sull’opportunità della nomina. A dimostrarlo, nei giorni scorsi, era già stato il voto in Commissione: la proposta favorevole era stata approvata con soli due consensi, quelli dei laici di centrodestra Felice Giuffré (il relatore, in quota FdI, lo stesso partito di Nordio) ed Enrico Aimi (Forza Italia). I quattro consiglieri togati (Mimma Miele di Md, Paola D’Ovidio di Mi, Antonino Laganà di Unicost e Genantonio Chiarelli di Area) avevano invece scelto di astenersi, anche perché – incredibilmente – nella relazione di Giuffré non era contenuto alcun riferimento alle chat tra Sinisi e Palamara. In plenum, il laico di Fratelli d’Italia ha parlato di “una scelta ponderata e sofferta: abbiamo soppesato tutte le ragioni di fatto e diritto e ci prendiamo le nostre responsabilità“, ha detto. Sostenendo che “la partecipazione del magistrato alle chat non può essere considerata un elemento preponderante in presenza di altri indicatori, tutti positivi” e che non si possa “ritenere un magistrato inidoneo sulla base di considerazioni espresse incidentalmente in una delibera di archiviazione. Se dovessimo prendere in considerazione qualsiasi spunto proveniente dalle chat, allora dovremmo considerare anche tutti i magistrati che sono stati citati, non solo quelli che hanno partecipato”, ha aggiunto.

Mirenda: “Perché nessuna azione disciplinare?” – L’intervento più corposo contro l’autorizzazione è stato quello del togato Mirenda, unico consigliere eletto senza l’appoggio delle correnti: “In base alla legge dobbiamo interrogarci se l’incarico contribuisca al prestigio della magistratura e se la collega possa onorarlo adeguatamente. E dobbiamo tenere conto anche della ricaduta sull’immagine di imparzialità e indipendenza” dell’ordine giudiziario, ha avvertito. “Nella delibera di archiviazione”, ha ricordato poi, “si scriveva che i comportamenti avrebbero dovuto essere valutati in altre sedi consiliari, quali la procedura di conferma. Un’espressione usata per non interferire con il procedimento disciplinare. Ma la domanda che ci si deve fare a questo punto è: come mai non è stata esercitata l’azione disciplinare? Le Sezioni unite della Cassazione dicono che è condotta gravemente scorretta quella di violare il dovere di astensione da qualsiasi intervento o interlocuzione (che non siano quelli previsti dalla legge) nell’ambito delle procedure di assegnazione di incarichi direttivi o semidirettivi”. Duro anche Genantonio Chiarelli di Area, che però – come già in Commissione – ha scelto di astenersi: “Gli incarichi fuori ruolo devono essere attribuiti a magistati non colpiti da elementi di opacità. Questo Consiglio ha il dovere di offrire al ministro un quadro completo della situazione, e a mio parere gli elementi di opacità sottolineati dalla delibera sono del tutto sufficienti a impedire un voto favorevole“, ha detto.

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