Trent’anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, la cultura delle denunce in Russia è di nuovo fiorente e di nuovo incoraggiata. Anzi, grazie allo sviluppo delle tecnologie, è diventato più facile aiutare le autorità a punire i concittadini, ad esempio consegnando un vicino alla polizia perché ha chiamato la rete Wi-Fi “Gloria all’Ucraina”. Non è che prima non scrivessero denunce, ma dopo l’inizio della guerra in Ucraina, in Russia è scoppiata una vera e propria “epidemia di denunce”: studenti e insegnanti, sacerdoti e parrocchiani, medici e pazienti, avvocati e fiduciari, colleghi, parenti e passanti si denunciano a vicenda. Il più spesso, cittadini vigili si lamentano di “screditamento delle truppe russe” o “diffusione di propaganda filo-ucraina”. Il motivo per denunciare qualcuno alla polizia è l’ascolto di canzoni ucraine, manicure gialloblu, critica della guerra nei social e persino frasi gettate al lavoro, nei bar, nei negozi o negli alberghi.

Gli studenti denunciano i loro professori universitari per le posizioni anti-guerra spingendo alcuni ad abbandonare il Paese e provocando la persecuzione degli altri. Così, una maestra di 55 anni di Penza, in risposta alla domanda degli studenti di terza media sul perché non possono competere in Europa, ha spiegato che dopo aver attaccato lo stato sovrano dell’Ucraina la Russia era diventata emarginata. Ha definito la Russia uno stato totalitario: “Qualsiasi dissenso è considerato un crimine di pensiero. Anche io potrei andarmene [in prigione] per 15 anni”. Uno degli allievi ha registrato segretamente le sue parole, poi la registrazione è finita nelle mani delle forze di sicurezza che hanno avviato il procedimento penale contro l’insegnante. Ha ricevuto, tuttavia, non 15, ma 5 anni di libertà vigilata per “fake news” sull’esercito.

Gli insegnanti si denunciano anche a vicenda: un maestro di scuola di una delle Isole Curili, il cui villaggio natale in Ucraina è stato bombardato, ha deciso di sfogarsi parlandone con i suoi colleghi. Tutto si è concluso con quattro denunce e licenziamento da scuola. Anche gli studenti si fanno la spia l’un l’altro: compagni di classe hanno denunciato una studentessa di Arkhangelsk a causa di post anti-guerra sui social, per cui contro la ragazza sono stati avviati due procedimenti penali e lei ha dovuto fuggire dal paese. Ma probabilmente la cosa peggiore è che gli insegnanti scrivono denunce sui bambini. Ad esempio, a Mosca, un direttore scolastico ha consegnato alla polizia un allievo che criticava le lezioni propagandistiche; un altro ha scritto la denuncia contro una bambina di quinta elementare a causa del suo immagine del profilo giallo e blu (la polizia è venuta ad arrestare la ragazza proprio durante le lezioni, e alla fine è stata data in affidamento). Allo stesso modo, con la denuncia degli insegnanti, è iniziata la famosa vicenda di Alexei Moskalev, separato dalla figlia per colpa del suo disegno pacifista e messo in prigione.

Non è rimasto nulla di sacro neanche nella Chiesa russa che sostiene attivamente la guerra. Così, il rettore di un cattedrale a Mosca ha denunciato una pensionata di 72 anni accusandola di aver “screditato l’esercito” con una nota pacifista che aveva attaccato alla bandiera russa. Un altro sacerdote della regione di Irkutsk non ha perso tempo in sciocchezze e ha subito denunciato il parrocchiano all’FSB: aveva acceso una candela per la vittoria dell’Ucraina. Ormai è impossibile nascondersi dalla denuncia anche nella comunicazione personale. Si scrivono denunce sui compagni di viaggio in treno, sugli acquirenti nei negozi che chiacchierando esprimono ai venditori i dubbi sulla vittoria della Russia, e sui clienti dei ristoranti che discutono di guerra al tavolo accanto. Una ospite di un sanatorio a Nalchik di 70 anni è stata vittima di ben tre denunce e ha pagato una multa di 40.000 rubli per essersi riferito a Zelensky come “un bel giovane con un buon senso dell’umorismo“. Non c’è nessun posto dove nascondersi dai cittadini vigili: nella metropolitana, alcuni di loro fanno la spia ai passeggeri che guardano sul loro telefono i video con Zelensky o le immagini che “screditano l’esercito russo” (l’ultima volta che un passeggero il cui telefono è stato esaminato da un delatore è stato arrestato per 14 giorni).

Il fascino delle denunce assume proporzioni assurde: madri che scrivono denunce contro i propri figli perché “non vogliono ripagare la Patria”, donne che denunciano ex mariti che si nascondono dalla mobilitazione, mariti che si lamentano con la polizia delle loro mogli che “rivolgono il bambino contro il governo”. Infine, un residente della regione di Mosca, preso dall’epidemia di denunce, ha portato il patriottismo a un nuovo livello e ha scritto una denuncia contro se stesso. Ha raccontato alla polizia che, mentre era ubriaco, ha dipinto il muro della casa con la bandiera ucraina e ha scritto uno slogan contro la guerra; quando si è ripreso, si è reso conto dell’errore e ha chiesto di essere ritenuto responsabile per aver screditato l’esercito russo.

Gli attivisti per i diritti umani notano che in Russia ci sono sempre più delatori: se nel 2021 la denuncia era un fenomeno sorprendente, nel 2022 è diventata la norma. Gli emendamenti dello scorso anno al codice penale rendono il 2022 l’anno più repressivo nella storia moderna della Russia. Secondo Roskomnadzor, nei primi sei mesi di guerra, i russi hanno scritto 145.000 denunce l’uno contro l’altro, il 25% in più rispetto all’anno precedente. Anche l’ufficio del procuratore generale ha riportato più di cinque milioni di ricorsi nel 2022, un record negli ultimi 20 anni. Persino i media filogovernativi scrivono che “le denunce in Russia sono diventate all’ordine del giorno”.

A tal proposito molti ricordano gli anni delle repressioni staliniste e la famosa frase dello scrittore sovietico Sergej Dovlatov: “Noi malediciamo senza sosta il compagno Stalin e, ovviamente, per delle buone ragioni. Però vorrei tanto sapere chi è che ha scritto quattro milioni di denunce?”. Secondo gli storici, la cifra di 4 milioni è esagerata, ma le denunce dei tempi del Grande Terrore comunista furono davvero massicce e toccarono tutte le sfere della vita. Tuttavia, l’antropologa Alexandra Arkhipova, che studia la società russa durante la guerra, ritiene che non bisogna confrontare le denunce moderne con quelle “staliniste”. La denuncia in URSS era spesso finalizzata a far salire la scala della carriera o migliorare le condizioni materiali. Ad esempio, uno scenario diffuso era quello di denunciare il vicino dell’appartamento comunitario per occupare la sua stanza dopo il suo arresto. Un’altra motivazione era la paura di diventare a sua volta vittima di una denuncia: “Se non denuncio io, verrò denunciato”.

Oggi i delatori generalmente non sono interessati finanziariamente e non hanno paura della loro sicurezza, al massimo possono cercare di regolare i conti personali. Ad esempio, la denuncia che una signora ha scritto contro la compagna di classe di sua figlia di 8 anni (per un video sul social dove la ragazza schiaccia con le mani la bandiera russa) è stato probabilmente dettato dalla vendetta: è così che la donna ha deciso di vendicarsi della ragazza che aveva offeso sua figlia. Un architetto di Mosca ha scritto appelli alla polizia contro diversi suoi colleghi, suggerendo che venissero licenziati per aver “chiesto il rovesciamento del sistema esistente della Federazione Russa”. Uno di questi colleghi ricorda con amara ironia che il suo bisnonno fu arrestato e fucilato nel 1937 proprio sulla base di una denuncia, in seguito alla quale la famiglia del delatore ricevette metà della sua casa. Ora non avrebbe senso tracciare parallelismi con “l’era stalinista” proprio perché i russi non sono ancora arrivati a questo punto, ritiene Arkhipova. Ora il ritratto del delatore è piuttosto un “bravo” cittadino che agisce non per interesse personale, ma per le proprie convinzioni sulla giustizia. Tali guardiani dell’ordine c’erano anche in URSS; oggi, come allora, la loro sete di giustizia è alimentata dalla propaganda che ripete che ci sono nemici tutt’intorno e devono essere smascherati.

È così che compaiono sui social russi vari tipi di elenchi di “traditori” composti da attivisti, giornalisti e politici. Così diventano possibili storie come quella accaduta in estate con un residente di San Pietroburgo che aveva criticato Putin e la guerra sui social. Il suo conoscente “considerando tale comportamento inaccettabile” ha denunciato l’amico alla polizia affinché “capisse tutto e si rieducasse”. Come risultato, la polizia ha sfondato la porta dell’appartamento in cui il sospettato viveva con il figlio disabile e ha arrestato l’uomo che a sua volta ha un terzo gruppo di disabilità. Il tribunale gli ha assegnato 5,5 anni di carcere per aver diffuso “fake news”, mentre lo stesso delatore ha commentato la vicenda sui media dicendo che “ognuno è utile al suo posto”. Alexandra Arkhipova spiega che è così che queste persone aumentano il loro valore personale: “Molti sono orgogliosi di ciò che fanno”.

Uno di questi cittadini orgogliosi ha recentemente denunciato la stessa Arkhipova, per aver parlato con dei media dichiarati in Russia “agenti stranieri”. L’antropologa non si è lasciata impaurire e ha scritto alla sua delatrice che ha risposto spiegando in dettaglio le sue motivazioni. Si è scoperto che durante il primo anno di guerra, K. ha scritto 764 denunce alle autorità e varie organizzazioni su esperti che danno commenti ai giornalisti dell’opposizione. K. si definisce una “delatrice professionista non pagata”: scrive denunce regolarmente, a turni. “Per due giorni guardo tutti i video dai canali YouTube di Dozhd, Radio Svoboda, Deutsche Welle e Current Time, e nei due giorni successivi mi riposo (diventa moralmente duro)”, ammette la donna. K. paragona il suo lavoro a “l’uso di sottomarini per distruggere le navi nemiche: il numero di navi effettivamente affondate è insignificante, ma la paura di un possibile attacco costringe il nemico a ridurre il numero di viaggi. La denuncia ha lo stesso compito: creare un’atmosfera di paura, in cui qualsiasi commentatore inizi a pensare se verrà denunciato al suo datore di lavoro o alle autorità”.

Secondo K., facendo così combatte per il suo futuro, perché non vuole “pagare riparazioni agli ucraini”. A metà aprile 2023 la donna aveva già scritto quasi mille denunce. Arkhipova definisce le tattiche di K. piuttosto efficaci: “Si crea una spirale di silenzio. Nasce il potere morbido della paura, e funziona”. Questo non è l’unico delatore seriale a guadagnare notorietà. Un altro, capo del Progetto federale di sicurezza e anticorruzione Vitaly Borodin, è specializzato nello scrivere denunce contro famosi musicisti e onorati artisti russi, il che porta alla cancellazione dei loro concerti in tutto il paese. Ma la cosa che colpisce di più non è nemmeno l’esistenza di delatori professionali, ma il fatto che le autorità incoraggiano la denuncia. Già nei primi giorni di guerra, le autorità di diverse regioni russe hanno invitato gli abitanti a inviare denunce su “provocatori” e segnalazioni su “informazioni false e dannose” a chat bot appositamente create. I media ucraini riferiscono che anche nei territori occupati sono stati introdotti chat bot per denunce anonime, a seguito dei quali le persone vengono rapite per qualsiasi “manifestazioni di slealtà”.

Il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov ha recentemente affermato che “la denuncia è sempre stata e sarà disgustosa”. Il capo del partito Nuova gente Aleksey Nechaev è rimasto sorpreso dal fatto che l’epidemia di denunce abbia assunto dimensioni tali che il Cremlino ne sta commentando ufficialmente, e ha proposto di punire i delatori seriali: “In tutto il paese, gli “assistenti volontari” fanno la spia a vicini, artisti, blogger o anche solo passanti casuali. Le leggi approvate per proteggere l’esercito e lo stato sono diventate un modo per regolare i conti personali”. Secondo alcuni sociologi, i motivi dell’ondata di denuncia di oggi risiedono nell’aggressività accumulata all’interno del Paese e nel desiderio di trovare i colpevoli di quanto sta accadendo. Ma Arkhipova definisce il desiderio di esercitare il cosiddetto controllo basso il “muscolo civile” della società. Alla fine i cittadini denunciano un crimine perché sentono la loro responsabilità, e questo è un fenomeno positivo per lo Stato. Le denunce politiche soddisfano così la domanda per la giustizia sociale: con il loro aiuto, il popolo si consolida con le autorità.

Tuttavia, lo storico russo Yevgeny Anisimov ritiene che “il confine tra una denuncia moralmente vile e l’adempimento del proprio dovere da parte di un cittadino consapevole sia molto sottile, quasi impercettibile. Eppure è caratteristico che le denunce fioriscano dove esiste un regime di totale mancanza di libertà e dove lo stato stesso incoraggia queste denunce con i premi”. Il politologo Abbas Gallyamov spiega così lo stato della società russa: “In ogni nazione, come in ogni persona, c’è qualcosa da Dio e qualcosa dal diavolo. Il compito di un sistema politico normale è quello di stimolare le manifestazioni del primo e impedire il risveglio del secondo. Per molti anni il regime di Putin ha fatto esattamente il contrario”.

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