L’ultima volta dell’Inter in semifinale di Champions, era quella di Mourinho e del Triplete. Una vita fa. L’ultima volta di un derby di Milano in semifinale di Champions, c’erano Cuper e Ancelotti, Vieri e Shevchenko, Moratti e Berlusconi. Sono passati esattamente 20 anni: un’altra epoca, un altro calcio. Basta questo per dire quanto sia storica, per certi versi incredibile – nel senso che a guardare la classifica e i valori davvero non ci credi – l’impresa della squadra di Simone Inzaghi, che fa il paio con quella di Pioli. L’Inter mantiene la promessa. Pareggia 3-3 a San Siro, difendendo ampiamente il vantaggio dell’andata. Rifila altri tre gol al Benfica, incassandone altrettanti ma quando la qualificazione è ormai in tasca. Elimina i tanto temuti portoghesi, alla fine lontana copia della formazione che aveva dominato in patria e stupito in Europa per tre quarti di stagione, ma poi si è sciolta nel momento clou. Un po’ come il Napoli.

Ci sono diversi punti di contatto fra i due quarti di finale degli ultimi giorni, con la differenza che il divario è stato ancora più ampio, il passaggio del turno dell’Inter mai veramente in discussione, se non in qualche momento fisiologico per questo tipo di sfide, un paio di episodi arbitrali (il contatto di Bastoni all’andata, un’entrata imprudente di Lautaro stasera) valutati a favore. A dimostrazione che la Champions è merito ma anche fortuna. E così l’Inter è arrivata in semifinale a pieno titolo.

I nerazzurri non hanno tremato. Non hanno speculato su quel 2-0 dell’andata che poteva trasformare il ritorno a San Siro nel più classico dei trappoloni. Hanno condotto la gara sempre nel punteggio, ma anche nello spirito, trascinati dal solito Barella in formato europeo, e poi da Lautaro finalmente ispirato. L’approccio è stato ottimo sin dal primo minuto, con il giusto equilibrio tra prudenza e personalità. Dopo un quarto d’ora di studio, l’Inter è già avanti. Dzeko ripulisce un pallone sporco sulla trequarti, poi fa tutto Barella: penetra in area, rientra col tacco, disegna col sinistro una parabola imprendibile sotto l’incrocio. Sommati a quelli dell’andata, i gol di vantaggio diventano tre. E sono tanti.

La reazione portoghese è solo in una punizione insidiosa di Grimaldo, ben parata da Onana. L’Inter domina, fa pure meglio il pressing, che sarebbe il marchio di fabbrica degli ospiti. Lautaro raddoppia di testa, dopo una spinta leggera ma netta. L’arbitro ci pensa, annulla. Proprio quando è in pieno controllo, però, l’unica occasione degli ospiti, l’unica disattenzione dei nerazzurri, rovina un primo tempo praticamente perfetto: Aursnes si infila in una maglia troppo larga tra Darmian e Dumfries e di testa fa 1-1.

Nella ripresa sembra iniziare una nuova partita. L’Inter ha perso terreno, ma non l’attitudine d’inizio gara. Infatti al netto di quella scivolata pericolosa di Lautaro, non rischia quasi nulla. E nel momento più complicato, arriva il gol della liberazione: la solita combinazione sull’out libera il sinistro di Dimarco, Lautaro arriva puntuale sottoporta. Di nuovo in vantaggio, San Siro e l’Inter si liberano delle loro paura. Il Benfica non ci crede più, ma in fondo ha deluso per tutti i 180 minuti. C’è gloria persino per il redivivo Correa: dribbling secco e destro a fil di palo, è proprio una serata speciale. Poi nel finale arrivano i gol del 3-2 e persino del 3-3 (Silva e Musa), che cambiano il punteggio ma non la sostanza. Milano tutta un po’ festeggia, un po’ trema. Vent’anni dopo sarà di nuovo derby in semifinale di Champions. È già storia.

Twitter: @lVendemiale

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