Girando per le piccole aziende capita sempre più spesso di imbattersi, talvolta, in veri e propri “copia e incolla” dei documenti rinvenuti nelle grandi imprese, nella carta dei valori con tanto di mission e vision. Paroloni, tralaltro pronunciati con un inglese approssimativo ma che fa sempre chic, che gli imprenditori ripetono spesso. Non è altro che la pagina patinata di una brochure o un manifesto affisso alle pareti in bella vista a declamare il credo aziendale.

Poi basta guardarsi intorno, e osservare le persone al lavoro, per accorgersi come i valori dichiarati spesso hanno poco a che vedere con ciò che i collaboratori effettivamente fanno. Fra il dire e il fare, insomma, ce ne passa.

La vision si occupa dell’azione in prospettiva futura e spiega cosa l’impresa vuole divenire. La mission lavora sul presente e si concentra su ciò che vuole ottenere nel momento attuale. Quindi possiamo dire che la vision rappresenta cosa l’azienda vuole essere, la mission come vuole realizzare tale obiettivo. Se la vision “parla al cuore”, la mission deve indurre all’azione. Ciò implica il ricorso a un linguaggio concreto, parole che esplicitino con chiarezza cosa ci si aspetta dalle persone. E’ un requisito importante, ma non basta: il credo aziendale deve trasmettere “uno scopo significativo” e non solo per gli azionisti: anche per i dipendenti che, di fatto, sono coloro chiamati a metterlo in atto.

Visione e missione, per quanto attraenti, rimarranno parole vuote se non svelano anche quali sono i comportamenti attesi dalle persone. Quali i vantaggi (per sé, per gli altri e per l’organizzazione). Cosa farà l’azienda (in termini di risorse impiegate) per sostenere la propria visione. Senza queste risposte vision e mission hanno il fiato corto.
Vision/mission e valori sono concepiti nella” stanza dei bottoni”, mentre andrebbero condivisi a tutti i livelli gerarchici, offrendo a ciascuno la possibilità di suggerire il proprio contributo. Perché un “credo aziendale”, per quanto attraente, stenta a realizzarsi anche quando tutti ne apprezzano i contenuti? Per passare dal dire al fare, ci sono alcuni passaggi essenziali.

Innanzitutto occorre essere chiari quando si scrive la “carta dei valori” perché “quei valori” occorre condividerli con i collaboratori. I valori sono il carburante dell’azione; danno ai dipendenti un senso di direzione e una comune linea di comportamento. Ma hanno un limite: sono parole astratte (come “libertà, rispetto, responsabilità”) che ciascuno può interpretare a modo proprio. Per trasformarle in azioni occorre prima accordarsi sul loro significato ed esplicitarne i criteri d’attuazione. Ricordo due membri di un team che sostenevano di credere nella collaborazione. Eppure quando lavoravano insieme s’accusavano a vicenda di violare tale principio. Come si spiega? Per capirlo, bastò osservarli sul campo. Per il primo, “collaborare” significava “riflettere sempre insieme”. Per l’altro: “rispettare i ritmi di lavoro individuali”. Conseguenza: quando uno si faceva da parte per riflettere, l’altro continuava a tampinarlo con i suoi monologhi ad alta voce. Sicché uno pensava: “Altro che collaborazione, quello è uno che non ti dà tregua!”. E l’altro: “Quando lavoriamo insieme lui bada solo ai fatti suoi. E questo lo chiama collaborare?”.

Il nodo del problema è qui: se non facciamo chiarezza (rendendo espliciti i criteri) nella messa in pratica di un valore, le persone cadono in balia di un relativismo spiazzante. Quando questi gap vengono posti sul tavolo, alcuni imprenditori tendono ad accantonarli come “quisquilie filologiche”. Ma non è così. Se è vero che il linguaggio influenza il nostro modo di pensare e agire (come dimostrano le moderne scienze linguistico-cognitive), è importante chiamare le cose con il proprio nome. Altrimenti anche le azioni ne risentiranno.

In secondo luogo occorre rendere note le competenze necessarie alla realizzazione della mission. Chiariti quali sono i valori che guideranno “il nuovo corso”, occorre interrogarsi anche sulle competenze necessarie ad attuarli. Altrimenti la mission stenta a decollare. La domanda è allora: “Quali competenze occorrono per attuare comportamenti che, in questo ambiente, con questi vincoli e queste risorse, realizzeranno il valore X”?

In terzo luogo è necessario governare i vincoli contestuali. I valori devono sempre fare i conti con la realtà (vincoli e risorse), altrimenti l’ambiente tenderà a respingerli, per mancanza di competenze o per una cultura impreparata e recepirli.

La banca in cui ho lavorato per 22 anni chiedeva ai propri uomini dell’area vendita di essere “orientati al cliente” e, al contempo, di mantenere una forte “tensione al risultato”. Senza considerare che il risultato del venditore non sempre si concilia con gli interessi del cliente.

Infine è necessario presidiare vision/mission attraverso un monitoraggio. Per “far accadere le cose” ci vuole pazienza e perseveranza, poiché i cambiamenti, specie se radicali, non avvengono in un giorno. Ecco perché vanno guidati e monitorati nel tempo. Le cose non accadono solo perché noi lo vogliamo. Per consolidare i risultati, occorre attivare circuiti permanenti di feedback (almeno per i primi due anni) che forniscano il polso della situazione e riorientino l’azione. Non ultimo, la certezza che la vision/mission, per radicarsi nei comportamenti quotidiani, richieda anzitutto un grande lavoro di condivisione e consenso in tutti i membri dell’organizzazione.

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