Una benzodiazepina e un anestetico ospedaliero per uccidere la moglie. Non morì per cause naturali Isabella Linsalata, medico bolognese, il 31 ottobre di due anni fa: ad ammazzarla fu un cocktail di farmaci somministrato dal marito, Giampaolo Amato, 64 anni, oftalmologo e già medico sociale della Virtus Bologna. È questa l’ipotesi avanzata dalla procura di Bologna che, a distanza di un anno e mezzo dalla morte di Linsalata, ha chiesto e ottenuto l’arresto di Amato a valle di accertamenti medico-legali e indagini dei carabinieri che hanno permesso di ricostruire come morì la dottoressa, specializzata in ginecologia e ostetricia.

A ucciderla, secondo l’ipotesi accusatoria, sarebbe stata la somministrazione dei due farmaci da parte del marito. Fu proprio lui a chiamare il 118 dicendo di avere trovato la donna priva di sensi nel letto del loro appartamento in via Bianconi a Bologna. I sanitari constatarono il decesso, inizialmente attribuito a cause naturali. I successivi esami tossicologici e le indagini coordinate dalla procura hanno invece portato a ipotizzare che la morte sarebbe stata provocata da Amato.

Durante le stesse indagini coordinate dal pm Domenico Ambosino sarebbe emerso che già alcuni anni prima la donna potrebbe essere stata oggetto di altre somministrazioni di benzodiazepina a sua insaputa, che si suppongono riconducibili al marito e mai denunciate, e che le avevano causato episodi di malessere e di narcolessia.

Nel primo interrogatorio dopo l’arresto, Amato si è avvalso della facoltà di non rispondere. I suoi legali – Gianluigi Lebro e Cesarina Mitaritonna – hanno già fatto ricorso al Tribunale del Riesame, impugnando l’ordinanza di custodia, e sono in attesa della fissazione dell’udienza. Dipendente dell’Ausl di Bologna, Amato dal primo aprile risulta ‘fuori turno’ (ovvero non in servizio) dall’ospedale Maggiore di Bologna.

L’uomo, specializzato anche in medicina dello sport, deve rispondere di omicidio volontario aggravato, peculato, perché si è impossessato, secondo le accuse, di medicinali di cui aveva disponibilità in ospedale, e detenzione di medicinali con effetti psicotropi presenti nelle tabelle degli stupefacenti.

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