Ogni quattro anni, con le estati olimpiche a riempire giornali ed esultanze, spunta qualche atleta che dal semi anonimato passa alla gloria. Questione di minuti: di prestazioni più o meno perfette che valgono le medaglie ai Giochi e l’ingresso nella ristretta categoria degli sportivi che ce l’hanno fatta. Di solito succede nelle discipline minori, definite così a causa dell’insopportabile vizio di pesare l’importanza di uno sport in base al seguito di pubblico. Ma tant’è. Non è questo il punto. Fatto sta che da essere nessuno, diventi un Dio. Per qualche giorno. E approfitti della ribalta mediatica. E ripensi a tutti i sacrifici fatti. E partono i ringraziamenti. Fateci caso: il primo grazie di solito è per “il mio maestro, quello che ha creduto in me e mi ha spinto a continuare nonostante le difficoltà”. Ecco: i primi maestri, quelli che insegnano sport, che crescono uomini e donne per farli diventare campioni. Vogliamo raccontarli così: capire il loro modo di intendere la competizione, scoprire i loro metodi, conoscere i loro aneddoti, sapere da chi hanno imparato. Ci saranno maestri noti e meno noti, espressione di discipline con grande o poco seguito. Unico comune denominatore: loro sono lo sport che insegnano e che hanno contribuito a migliorare. (Pi.Gi.Ci.)

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“Sono nato e cresciuto a Treviso, dove negli anni Novanta e Duemila la pallavolo era al top. Seguivo da bordo campo, appassionato di volley come sono sempre stato, Gian Paolo Montali e Daniele Bagnoli, allenatori della Sisley. I primi due riferimenti sono stati loro, anche se non direttamente. Ero giovanissimo, ma avevo già l’idea di diventare un coach, anche perché avevo capito che a livello fisico non sarei potuto diventare un gran giocatore”. Nicola Negro ha 43 anni e allena dal 2019 il Minas, squadra di pallavolo femminile con sede a Belo Horizonte. Dal giorno in cui ha sostituito Stefano Lavarini, che aveva deciso di fare ritorno in Italia, il coach trevigiano ha vinto due campionati brasiliani, due sudamericani, due Mineiro e una Coppa Brasile. Un successo dietro l’altro. Negro ha avuto la sua prima esperienza professionale nella pallavolo a 23 anni come addetto alle statistiche a Conegliano. Poi è stato quattro anni vice della Nazionale turca, altri quattro in Polonia tra Atom Sopot, Tauron Dabrowa Gornicza e Impel Wroclaw, un anno a Baku nell’Azerrail. Ha allenato il CSM Bucarest in Romania, il Calcit Ljubljana in Slovenia e un paio di stagioni in A2 con Trento. Nel 2019 la chiamata dal Brasile. Qualche settimana fa è arrivata l’ufficialità da parte della Federazione messicana: Negro sarà anche il commissario tecnico della Nazionale femminile. “L’idea è di rimanere in Brasile almeno un’altra stagione dopo questa in corso che si concluderà il 14 maggio. Il Brasile è un paese bello, qui sto molto bene. Avrò quindi il doppio incarico, con il Messico già a giugno disputerò i Giochi centroamericani del Caribe a El Salvador”.

Com’è il livello della pallavolo in Messico?
“È buono, la Nazionale maschile è già competitiva da anni, la femminile sta crescendo. La federazione prossimamente ospiterà competizioni importanti e sta provando a migliorare anche dal punto di vista tecnico”.

Si aspettava questa chiamata?
“La Nazionale è una bella occasione per me, avevo il desiderio di tornare ad allenarne una, la prima volta come capo allenatore. Sono stato quattro anni con quella turca, ma ero l’assistente di Alessandro Chiappini. Negli ultimi anni ci sono stati vari contatti, anche con l’Argentina. Sì, pure con qualche federazione europea. Finalmente è arrivato il momento”.

Ci sono possibilità un giorno che arrivi per lei anche una squadra maschile?
“In Europa il maschile e il femminile sono due ambienti distinti, anche se ultimamente c’è la tendenza di passare dal maschile al femminile, al contrario è ancora molto difficile. In America Latina, anche storicamente, il passaggio avviene più spesso. Bernardinho e Zé Roberto ne sono gli esempi”.

Lei avrebbe questa ambizione?
“Io voglio allenare ad alto livello e ho preso in considerazione sempre tutto laddove mi è stata data la possibilità di allenare”.

Il primo maestro vero?
“Alessandro Chiappini, per sette anni sono stato al suo fianco. Quando firmò per la Nazionale turca, aveva bisogno di un assistente e mi chiamò. Personalmente non ci conoscevamo. Oltre all’esperienza turca, con lui sono andato in Polonia e in Azerbaijan”.

Cosa ha preso da lui?
“Ho imparato sia dal punto di vista tecnico sia nella gestione del gruppo. Un grande maestro. Di lui ho sempre apprezzato la semplicità nel lavoro, nelle richieste tecniche. L’efficacia. Nella gestione del gruppo è un allenatore equilibrato che cerca sempre il dialogo con le atlete”.

Vi sentite ancora?
“Lui allena in Polonia e ci confrontiamo spesso. Il dialogo è diverso oggi che ho anch’io maturato nel frattempo nuove esperienze. C’è sempre da imparare, soprattutto nell’analisi: il volley è uno sport in continua evoluzione”.

Altri nomi che vuole citare?
“Reputo un mio mentore Karch Kiraly. Ho allenato molte giocatrici americane nei club, lui in inverno le seguiva ed è stato spesso mio ospite. Per esempio a Baku nel 2021, siamo sempre rimasti in contatto. Io sono stato un paio di volte in California nel 2014 e nel 2015. È molto disponibile, pronto a condividere quello che sa. La sua visione della pallavolo è moderna. La scuola statunitense funziona tutta così. L’approccio allo studio, i numeri, la tecnica, come allenano… Sono avanti”.

Poi?
“Tre volte campione olimpico, Zé Roberto è un guru del nostro sport. Da quando lavoro in Brasile, ho avuto molte occasioni di confrontarmi con lui. Di Zé mi piace la tranquillità che ha nell’approcciare tutte le esperienze. Citerei anche Giovanni Guidetti, anche se non ci ho mai lavorato assieme”.

Racconti pure.
“È uno dei migliori al mondo. Lui è un profilo differente rispetto ai tre che ho nominato pocanzi. È più energico, più passionale nel modo in cui sta a bordo campo. Caratterialmente io assomiglio più a Giovanni. Gli altri sono più calmi e distaccati”.

Più italiano insomma?
“Sì, possiamo dire questo”.

Crede di avere già qualche allieva in panchina?
“Direi di no, sono troppo giovane. Sono diventate allenatrici Francesca Vannini, avuta a Padova, ed Elisa Cella a Sassuolo. Non credo di aver trasmesso loro molto. Io ero molto giovane e loro già esperte. Ma spero di avere instaurato una buona relazione con entrambe”.

Oltre ai maestri in carne e ossa esistono altri modi per imparare?
“Oggi l’accesso al materiale online semplifica molto le cose. Un tempo bisognava viaggiare molto, assistendo a competizione e allenamenti. L’ho sempre fatto per stare vicino alla pallavolo di alto livello, soprattutto quella delle Nazionali. L’idea del viaggio io l’ho sempre avuta in me”.

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