Quanto hanno inciso i bonus edilizi sul rimbalzo del pil nel 2021 e 2022, pari in tutto al 10,7%? L’impatto è complesso da stimare, ha avvertito giovedì in audizione alla commissione Finanze del Senato la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio Lilia Cavallari: le analisi diffuse nelle ultime settimane da centri studi privati e associazioni di categoria sono “fortemente influenzate dalle ipotesi di riferimento adottate” e spesso “considerano l’intero ammontare ammesso a detrazione come impulso dato al settore delle costruzioni, mentre solo una quota delle detrazioni si riferisce a investimenti effettivamente conclusi, che quindi hanno già stimolato l’attività economica”. Non solo: con rare eccezioni, quelle analisi trascurano che una parte di investimenti si sarebbe comunque effettuata in assenza del Superbonus. L’authority che vigila sui conti ha provato allora a dare una risposta più accurata sulla base dei dati di contabilità nazionale appena diffusi dall’Istat.

Il settore delle costruzioni, è la premessa, lavora per le abitazioni ma anche per edilizia non residenziale e le opere pubbliche. Nel comparto residenziale, che è stato stimolato dal Superbonus, “i flussi di investimento nominale in abitazioni nello scorso biennio sono stati in Italia più pronunciati di quelli degli altri maggiori paesi dell’area dell’euro”. Ma “la dinamica trimestrale in Italia ha tuttavia accelerato soprattutto nel 2021, mentre i lavori conclusi finanziati con il Superbonus si sono concentrati nel 2022”. Nel 2021, post pandemia, si è registrato un “fortissimo rimbalzo per gli investimenti in abitazioni (37,2%), più marcato di quello degli altri investimenti in costruzioni (18,4%). Tuttavia nel 2022, quando i flussi di lavori finanziati con il Superbonus hanno fortemente accelerato, gli investimenti in abitazioni sono aumentati (10,3%) meno di quelli in costruzioni non residenziali (12,9%)”.

La conclusione a cui arriva l’Upb è che “rispetto al contributo alla crescita del Pil dell’investimento in costruzioni residenziali indicato dall’Istat per il 2021-22 (due punti percentuali), la metà sarebbe ascrivibile all’incentivo fiscale”. Ma “per avere una valutazione sul complesso dell’economia occorre poi considerare che lo shock positivo sulle costruzioni si propaga agli altri settori. Questo effetto a cascata, che si realizza in un arco temporale sufficientemente ampio da consentire le interazioni produttive dirette e indirette tra settori, si può tracciare con le tavole intersettoriali; in base a queste ultime, oltre al valore aggiunto inizialmente prodotto nell’edilizia si attiverebbe un ulteriore valore aggiunto quasi uguale a quello dello shock iniziale“, quindi di un altro punto. Un’analisi “solida e complessiva dell’impatto dell’incentivo per l’economia italiana è comunque difficile utilizzando solo strumenti macroeconomici”, ha avvertito Cavallari, “anche perché riguarda un periodo caratterizzato da shock eccezionali (la pandemia e la guerra in Ucraina) e che hanno colpito i vari paesi in modo asimmetrico. Evidenze più robuste potrebbero essere tratte dall’analisi di dati microeconomici, integrati per le famiglie beneficiarie e le imprese che hanno realizzato i lavori, al momento non disponibili“.

Cavallari ha anche analizzato l’impatto del solo superbonus, il cui utilizzo “è risultato nettamente superiore rispetto alle previsioni formulate originariamente nelle Relazioni tecniche dei provvedimenti che lo hanno introdotto e successivamente modificato” visto che “a fronte di una stima iniziale di quasi 10 miliardi l’anno di investimenti finalizzati all’efficientamento energetico, i lavori agevolati (ammessi a detrazione) hanno raggiunto al 31 gennaio 2023 65,2 miliardi complessivi, di cui circa 50 miliardi relativi a lavori realizzati; a questi corrispondono detrazioni/crediti di imposta per quasi 72 miliardi”. La distribuzione territoriale evidenzia una maggiore incidenza del ricorso alla misura nel Nord-Est, “con un investimento medio per abitante di circa 1.291 euro, più elevato della media nazionale (1.100 euro) di circa il 16 per cento” mentre l’utilizzo è stato “sostanzialmente omogeneo nel Nord-Ovest, nel Centro e nel Sud (con valori pari rispettivamente a 1.087, 1.090 e 1.041 euro per abitante) e più ridotto nelle Isole (980 euro)”. Le modifiche alle condizioni di cedibilità “possono aver determinato la progressiva riduzione nel febbraio 2022 e da aprile 2022 della quota di investimenti nelle regioni del Sud dove, anche per motivi legati all’incapienza, il ricorso alle modalità alternative alla detrazione potrebbe essere stato più esteso”.

Dai dati disaggregati è stato possibile indagare la capacità di raggiungere una platea di beneficiari “più ampia rispetto alle misure di agevolazione preesistenti” grazie al combinato disposto tra incremento della quota di incentivazione e possibilità – ora bloccata dal governo Meloni – di trasformare la detrazione in sconto in fattura o in credito di imposta. Non è stato ancora possibile ricostruire le condizioni economiche dei singoli beneficiari del bonus ma un’analisi preliminare mostra già “una sensibile differenza” rispetto all’ecobonus del 50-65%: “Se per l’Ecobonus la relazione tra incidenza della fruizione e reddito medio aggregato del Comune è chiara e definita, per il Superbonus i dati risultano notevolmente più dispersi e l’associazione risulta appena apprezzabile. Si può quindi concludere che nel passaggio da Ecobonus al 50/65 per cento a Superbonus al 110 per cento sia effettivamente aumentata in modo significativo la fruizione delle agevolazioni per il risparmio energetico nei Comuni a reddito più basso“. Inoltre, la quota degli incentivi erogati con il Superbonus ai beneficiari più giovani “risulta leggermente più elevata”. In conclusione, per l’Upb “lo sconto in fattura e la cessione a terzi del credito – insieme all’aliquota elevata – hanno verosimilmente consentito alla parte di popolazione che non avrebbe potuto beneficiare dell’agevolazione di attivare investimenti che altrimenti non avrebbero fatto e contribuire al risparmio energetico”, ma “Si tratta dell’unico segmento della popolazione per il quale un’aliquota così alta di agevolazione potrebbe risultare ammissibile in quanto giustificabile come spesa pubblica”.

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