Si è da poco conclusa a Milano, prima della Fashion Week, la 43esima edizione del Bit, Borsa internazionale del Turismo. Grande soddisfazione degli organizzatori che hanno confermato numeri quasi da pre pandemia. Molti buyers stranieri, specie nordamericani. Susanne Mozel, di Omega National Travel (Canada), afferma: “I clienti nordamericani conoscono molto bene l’Italia. Sono molto esigenti e ricercano offerte particolari in piccoli borghi o percorsi poco battuti. A Bit ho trovato proposte davvero uniche, come cenare sotto un vero vigneto o esplorare i passaggi segreti di un castello che i nobili usavano per muoversi senza farsi notare dai sudditi. È questo tipo di esperienze capaci di affascinare che fa la differenza”.

E l’enogastronomia è un dato ormai acquisito che fa parte di pressoché tutte le esperienze di viaggio. Il turismo enogastronomico si è candidato a rappresentare a tutti gli effetti una forma di turismo culturale attraverso la conservazione e la valorizzazione dei territori agricoli e vitivinicoli destinati a delineare lo scenario naturale, proponendo un modo colto di viaggiare associando la degustazione di vini, prodotti tipici e talvolta di piatti locali alla visita ad aziende vinicole e agroalimentari e anche musei.

Mi piace qui ricordare il Tempio del Brunello a Montalcino e il Museo dei Medici a Firenze, dove oltre ad apprezzare la storia del casato si possono degustare le bottiglie delle terre medicee.

Questa tendenza di unire arte e cibo avviene non solo nelle località rurali, ma anche nelle città d’arte. Secondo Cst per Assoturismo Confesercenti, basato su interviste a oltre 1.200 imprenditori effettuate nelle principali 100 città d’arte italiane, la ripresa del turismo è stata guidata proprio da queste ultime, dove le visite hanno visto una netta accelerazione. Tra giugno e agosto i turisti nelle nostre città d’arte sono stati 27,4 milioni, il 24,6% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, registrando l’aumento più rilevante tra tutti i segmenti di offerta turistica superiore anche alla media complessiva del settore (più 14,3%).

A spingere la ripresa del turismo culturale è stata soprattutto la domanda straniera, con oltre 17,5 milioni di presenze (il 34,6% in più rispetto al 2021), seguita da quella italiana, per un totale di oltre 5,5 milioni di presenze (più 10,2% rispetto al 2021). Si tratta di numeri molto positivi, anche se ancora lontani dai livelli pre pandemia del 2019, quando i visitatori delle città d’arte erano stati 44 milioni.

Secondo le stime elaborate dallo studio, la ritrovata vitalità del mercato sta avendo ricadute positive sull’intero sistema paese. Il turismo culturale, tra gennaio e agosto 2022, dovrebbe aver generato 9,1 miliardi. Sono circa 196 milioni le presenze turistiche nel trimestre estivo luglio-settembre 2022, il 4,7% in meno rispetto alla cifra record pre pandemia di circa 205 milioni raggiunta nel 2019.

Sempre secondo Assoturismo gli eventi, i festival e i concerti svolgono oggi un ruolo fondamentale nel turismo culturale ed enogastronomico. Infatti offrono ai turisti ulteriori motivi per visitare una destinazione al di là del prodotto culturale regolarmente offerto e danno modo di affiancare i valori sociali, locali e paesaggistici alla buona gastronomia depositaria della cultura del luogo. Solitamente, le persone che si dedicano all’enogastronomia e al turismo culturale hanno un livello sociale ed economico medio-alto e non sono solo appassionati, ma anche consumatori. Pertanto sono una grande risorsa economica e contribuiscono al Pil dell’Italia.

C’è un però. La maggior parte delle nostre città con musei unici, offerta alberghiera di buon livello, esercizi ottimi e commercio di qualità sono deludenti sotto l’aspetto della qualità urbana: a Roma, Firenze, Napoli, Milano, Palermo e Torino le strade sono sporche, dissestate, scarsamente illuminate e con mezzi pubblici inefficienti. Parlando pochi giorni fa con alcuni turisti francesi in visita ai musei della mia città, Torino, ho constatato una certa insofferenza per i marciapiedi sconnessi e lordati da deiezioni canine.

Le Amministrazioni locali che annunciano con enfasi i numeri esaltanti del turismo, specie legati a eventi, dovrebbero tener conto di questa criticità mai affrontata e risolta. I numeri di viaggiatori di medio-alto livello potrebbero portare grandi benefici. Al netto anche dei locali e del turismo popolare, il decoro urbano infatti è imprescindibile sia per turisti che per residenti.

Altro fattore: il turista colto che viene in Italia vuole trovare il “genius loci”. Desidera ritrovare monumenti restaurati, ma non manomessi da interventi snaturanti. Desidera proseguire la sua esperienza alla Grand Tour, in hotel che richiamino il bel vivere, per cui gli operatori del settore dovrebbero investire in edifici storici dismessi dalle loro funzioni, ma evocativi di epoche, specie per i nord americani, del tutto sconosciute.

I primi nove mesi del 2022, come si è già evidenziato, hanno segnato un forte recupero per il settore turistico, ma le presenze dei clienti negli esercizi ricettivi sono circa 39 milioni in meno rispetto al 2019 (-10,3%). Vengono prescelti hotel con forti connotazioni storiche, ma ne mancano, rispetto alla potenziale richiesta, almeno duemila. Il recupero dei tanti edifici demaniali dismessi, con incentivi agli operatori del settore, costituirebbe un volano per l’economia maggiore dei vari superbonus e meno oneroso per lo Stato. Si metterebbero in moto molte professionalità, oltre di quelle dell’edilizia, per restituire all’Italia tutta la sua bellezza.

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