di Giulia Capitani*

Sono passati alcuni giorni dal naufragio avvenuto di fronte alle coste di Steccato di Cutro, e per molti cittadini e cittadine è difficile calmare la mente. Può aiutare provare a mettere in fila alcune considerazioni.

Da una parte ci sono i fatti, sui quali si è appena aperta un’inchiesta. Dalle prime ricostruzioni giornalistiche, una segnalazione da parte di un aereo di Frontex viene lanciata nella notte tra venerdì e sabato. La Guardia Costiera non interviene e dice di non essere informata, sarà più tardi smentita dalla stessa agenzia europea. Partono due motovedette della Guardia di Finanza, perché chi ha ricevuto la segnalazione ha derubricato l’operazione, come spesso avviene da alcuni anni a questa parte, da ricerca e soccorso (SAR) a operazione di controllo dell’immigrazione clandestina.

La Guardia di Finanza poi torna indietro perché le condizioni del mare sono proibitive. Ma se sono proibitive per loro, tanto più lo saranno per decine di persone stipate su una vecchia barca: dunque, perché non è un evento SAR?

Speriamo che le indagini facciano presto chiarezza, nel frattempo quello che è certo è il risultato: 68 persone affogate a pochi metri da una spiaggia, tra cui 15 bambini, 16 persone ancora ricoverate in ospedale in gravi condizioni, un numero che resterà per sempre imprecisato di dispersi, e poi scarpe, biberon e vestiti zuppi in mezzo ai rottami della barca naufragata. Dell’ennesima barca naufragata.

Accanto ai fatti, ci sono le dichiarazioni che si stanno susseguendo in diverse sedi. Preme qui analizzare brevemente quelle del ministro dell’Interno Piantedosi, rilasciate sia in conferenza stampa che, più formalmente, durante l’intervento di fronte alla Commissione Affari Costituzionali della Camera tenutosi il primo marzo. Le sue parole, tra omissioni e distorsioni, ci ricordano che siamo di fronte a una questione politica, civica e morale di estremo rilievo.

Precisiamo che i governi precedenti, di qualunque colore, non sono stati da meglio, tutti perseguendo una scellerata politica di esternalizzazione. Ma Matteo Piantedosi sarà ricordato per aver incolpato persone affogate di essere affogate: se fossero rimaste al sicuro nei campi profughi appena terremotati della Turchia – dove ormai oltre l’80% dei cittadini residenti non le vuole più vedere e dove per legge non possono richiedere asilo – non sarebbero morte. Queste parole, nella loro sommessa ed efferata violenza, suonano grottesche, ma è possibile per chiunque lo desideri riascoltarle. Non sono state né smentite né ritrattate.

Il testo della sua relazione davanti alla Commissione è contraddittorio e pieno di ipocrisie. “Combattere gli scafisti e bloccare le partenze”, dice. Affermare che queste morti sono responsabilità degli scafisti è come affermare che la responsabilità del traffico mondiale di stupefacenti ricade sui piccoli spacciatori nelle periferie delle nostre città. È ormai noto, peraltro, che la maggior parte degli scafisti non sono affatto trafficanti, ma migranti come gli altri cui viene affidata la guida del natante sotto minaccia o in cambio della possibilità di effettuare il viaggio gratuitamente. E che il traffico di esseri umani, come ormai incontrovertibilmente dimostrato da diverse agenzie internazionali e più volte denunciato anche da Oxfam, prospera proprio grazie agli accordi che il nostro paese e l’Unione Europea hanno stipulato con i paesi di transito come la Turchia, la Libia, la Tunisia inondandoli di soldi pubblici che finanziano reticolati, centri di detenzione, apparati paramilitari e, in diversi casi, vari gruppi criminali.

Per quanto riguarda la “soluzione” proposta, bloccare le partenze, appare di nuovo necessario ribadire che non si può né si deve. L’idea di poter bloccare i flussi di mobilità internazionale è una risibile chimera che serve solo a rassicurare elettori confusi. Perché al di là della tossica contrapposizione tra persone che hanno diritto a fuggire e quelle che non lo hanno, esiste una cosa che si chiama squilibrio demografico, ingigantito dalle dinamiche della disuguaglianza globale, di fronte alla quale all’Europa non serviranno migliaia di chilometri di filo spinato, fallimentari politiche di rimpatrio e disumani centri di detenzione ai propri confini esterni.

Quello di cui abbiamo bisogno è una classe politica all’altezza della sfida epocale che ci attende, capace non solo di contenerne i rischi, ma anche di coglierne tutte le opportunità. Che abbia il coraggio di dire che non solo queste persone non possono essere bloccate, perché sono richiedenti asilo, ma che per loro c’è posto.

Sì, in Italia, in Europa, per queste persone c’è posto. I dati dicono che la crisi demografica in Europa, e in particolare nel nostro Paese, sta raggiungendo il punto di non ritorno. Nel giro di 25 anni, oltre il 30% della popolazione europea sarà in età pensionabile. Cioè smetterà di produrre reddito e contributi fiscali, e comincerà a consumare welfare in maniera massiccia e costante. È evidente che i flussi migratori rappresentano una grande opportunità in uno scenario simile. E invece il nostro ministro cita orgoglioso i risultati del Consiglio Ue del 9 febbraio: investimenti in “infrastrutture di protezione” (muri), mezzi di sorveglianza e attività di controllo dei confini esterni, aumento dei rimpatri, accordi (onerosi) con i paesi terzi per la prevenzione delle partenze.

Il ministro conclude poi citando la necessità di canali di ingresso legali e sicuri. Ma anche da questo punto di vista, le sue dichiarazioni stridono con la realtà. La rivendicazione di 617 persone arrivate tramite corridoi umanitari, come se fosse un numero di cui andare orgogliosi, tralascia un particolare, e cioè che tali iniziative sono totalmente a carico di poche associazioni private, e che lo Stato non ci investe un solo euro.

In tutto questo il Decreto Flussi – ultimamente così spesso sbandierato con i giornalisti con lo scopo di dimostrare che è perfettamente possibile entrare legalmente in Italia e che quindi chi non lo fa è un criminale – è in realtà uno strumento totalmente inadeguato per rispondere a queste sfide, come ben sanno tutti i datori di lavoro che ogni anno cercano di assumere in regola un cittadino straniero.

I numeri sono gravemente insufficienti rispetto sia alle esigenze del mondo produttivo che dei flussi di persone in entrata. Soprattutto è limitato a pochissimi settori e prevede che il datore di lavoro italiano conosca personalmente il potenziale lavoratore ancora residente all’estero, facendo una richiesta di visto personale. Com’è possibile? Non è possibile, infatti. Semplicemente non succede, e la gente continua a attraversare illegalmente le frontiere sperando di potersi regolarizzare successivamente.

Significativo poi che la relazione del ministro, tra le possibilità di ingresso legale, non citi la richiesta di asilo, come se il meccanismo della protezione internazionale, nato con la Convenzione di Ginevra del 1951, non esistesse più.

Poi, quando le voci tacciono, restano le immagini, quelle riprese da un sopravvissuto prima del naufragio: persone normali, belle, giovani, bambini sorridenti, nella stiva di una nave che doveva portarli via dalla guerra in Siria, dai Talebani in Afghanistan, dai campi profughi senza diritti in Turchia colpiti dal terremoto, e che invece li ha depositati dentro 68 bare nel Palasport di un piccolo paese calabro.

Sono loro la “significativa risposta termica” che le termocamere dell’aereo di Frontex hanno registrato venerdì notte, e la mostruosità di questo linguaggio ci fa capire molto delle sfide che abbiamo davanti. È a loro che il ministro Piantedosi ha detto che “invece che mettersi in mare avrebbero dovuto essere responsabili, e chiedersi che cosa avrebbero potuto fare per il loro Paese”.

Noi sappiamo quello che dobbiamo fare per il nostro Paese, come Oxfam e come società civile organizzata: lottare per la difesa del diritto di asilo in quanto fondamentale pilastro della democrazia, per la reputazione di chi lo protegge e lo mette in pratica, per ottenere una missione europea di soccorso in mare; il superamento del sistema Dublino; la previsione di canali legali sicuri ed efficaci.

Per tutto quello che possa ridare dignità e futuro a tutti noi.

*Migration Policy Advisor di Oxfam Italia

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