Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, scopre il problema degli incentivi che vanno a favorire gli stabilimenti situati in altri Paesi. E si inventa la soluzione: “Incentivi per la produzione nazionale di autovetture”. Evidentemente incompatibili con la normativa europea sugli aiuti di Stato. Giovedì, rispondendo al Question time al Senato in merito alla tutela della filiera italiana dei veicoli a motore dopo le decisioni della Commissione Europea sull’automotive, il rappresentante di Fratelli d’Italia ha spiegato che i bonus per le auto innovative ed elettriche “finiscono in maniera significativa alla Stellantis – con la quale abbiamo un rapporto e un confronto in atto – per circa il 40%, ma in gran parte per macchine realizzate fuori dall’Italia”.

Non solo: “Mentre gli incentivi per i motori tradizionali, o comunque ibridi, sono molto appetibili, gli incentivi messi sulle auto elettriche sono poco richiesti perché le auto elettriche continuano a costare troppo in Italia, e non si è ancora completata la mappa necessaria delle ricariche nel Paese, ne abbiamo 36mila rispetto alle 90mila della piccola Olanda”. Che fare? Intervenendo alla presentazione di un rapporto di Federmanager e Aiee sull’impatto per piano di transizione europeo per l’auto, ha fatto sapere che si sta valutando “come, da subito, realizzare degli incentivi che, di fatto, in qualche misura, incentivino la produzione nazionale di autovetture”. Un riordino degli oltre “2mila incentivi con differenze per tra regioni, e di anno in anno” è sicuramente opportuno, ma la strada non può essere quella di aiuti “autarchici”, non consentiti dalle regole Ue.

Intanto la Lega ha annunciato una raccolta firme contro il divieto di produzione di auto benzina e diesel dal 2035 “anche con i gazebo nel weekend”. Mentre Urso, dopo aver attaccato la “visione ideologica della Commissione Europea” sostenendo che “non possiamo soggiacere a quelle visioni imperiali che si manifestano anche attraverso la tecnologia attraverso l’accaparramento di materie prime”, dice di sperare ormai nella revisione prevista per il 2026. Quando “ci sarà un altro Parlamento europeo, più consapevole delle esigenze delle imprese e dei cittadini europei, e un’altra Commissione europea che non avrà quella visione ideologica di qualche anno fa, che perdura malgrado la realtà incombente”.

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