Rimane elevata l’inflazione negli Stati Uniti che in gennaio si colloca al 6,4% (dal 6,5% di dicembre) ma con un rialzo mensile dei prezzi dello 0,5%. La crescita dei prezzi mese su mesi è la più marcata da tre mesi e segnala la persistenza di pressioni al rialzo sui prezzi. Il dato era molto atteso da investitori ed analisti in quanto destinato ad avere un peso rilevanti nelle prossime decisioni della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, e, a cascata, sui mercati di tutto il mondo. A spingere sul dato sono stati i prezzi dell’energia, soprattutto, e delle abitazioni. Viceversa scendono, per il settimo mese di fila i prezzi delle auto usate (-11,7% su base annua) che in precedenza avevano contribuito in modo significativo al rialzo del dato complessivo. L’indice “core”, depurato dalle componenti più variabili come cibo ed energia e quello più strettamente monitorato dalla banca centrale, segna comunque un rialzo mensile dello 0,4%. Le cifre sonno superiori alle attese e potrebbero indurre la Fed ad insistere sul percorso di rialzo dei tassi di interesse anche perché per ora il mercato del lavoro (che potrebbe risentire dei rialzi) continua a fornire indicazioni confortanti. Per questa ragione, dopo la diffusione del dato, gli indici azionari hanno segnato bruschi ridimensionamenti dei guadagni mentre sono saliti i rendimenti dei titoli di Stato.

“Dobbiamo essere pronti a proseguire con i rialzi dei tassi per un periodo più lungo del previsto“, ha poi detto Lorie Logan, membro della Fed, in un discorso all’università del Texas- Logan vede due rischi per la politica monetaria adesso: fare troppo poco e causare un ritorno dell’inflazione, e fare troppo e creare troppe ripercussioni nel mercato del lavoro. Dati questi rischi, “non dovremmo legarci le mani” su un “preciso percorso dei tassi”, ha affermato.

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