Il caso di Alfredo Cospito infiamma la cronaca ormai da settimane, ma negli ultimi giorni si sono sollevate opzioni piuttosto discutibili su come gestire lo sciopero della fame dell’anarchico detenuto con il regime del 41bis. Cospito protesta dal 20 ottobre dello scorso anno e ovviamente sono ora necessarie maggiori attenzioni alla sua condizione di salute, attenzioni che fanno emergere proposte come il trattamento sanitario obbligatorio per arrivare alla nutrizione forzata.

Il governo ha fatto sapere che non ci saranno passi indietro rispetto alla sospensione del 41bis richiesta da Cospito – che non protesta solo per sé, ma a nome di tutti i detenuti del cosiddetto “carcere duro”, principalmente esponenti di mafia, ‘ndrangheta e camorra, diversamente dall’anarchico accusato di strage politica per un attentato, casualmente privo di vittime o feriti, commesso durante la militanza con il Fronte Anarchico Informale. La prospettiva di Cospito è quella dell’ergastolo ostativo. Fine pena mai, per capirci.

Se allora “il 41bis non si tocca” – come dichiarato dal ministro Carlo Nordio – si dovrà aprire una discussione seria legata alla salute di Cospito e alla sua morte tra le mani dello Stato. Non che sia una novità per l’Italia: nel 2022 nelle nostre carceri si sono tolte la vita 84 persone, un detenuto ogni 670 presenti. Questo caso però è diverso, non è un’improvvisa scoperta, ma uno sciopero della fame che porterà gradualmente a un peggioramento delle condizioni di salute di Cospito, a cui assisteremo tramite giornali e salotti tv.

Il quadro bioetico è abbastanza chiaro: la nutrizione forzata consentirebbe sì di non mettere a rischio la vita di Cospito, ma sarebbe una chiara violazione delle sue richieste. La sentenza della Cassazione sul caso Englaro (2007) – pietra miliare del percorso del diritto verso le Dat (2017) – stabilisce chiaramente che se la persona è maggiorenne e in condizioni di intendere e di volere, non è possibile imporre nessun tipo di trattamento sanitario – e la nutrizione artificiale forzata lo è – che non la trovi consenziente. È questo il motivo per cui i medici non possono autorizzare la procedura, anche alla luce dell’articolo 53 del codice deontologico che gli fa prendere parte a qualsiasi atto costrittivo di nutrizione artificiale.

Un trattamento sanitario obbligatorio per aggirare questo vincolo sarebbe palesemente una forzatura: Cospito è in grado di decidere per sé. Ha fatto pervenire al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria delle disposizioni anticipate molto chiare: non vuole essere alimentato. Si tratta di uno sciopero della fame programmato e ragionato che il detenuto continua a confermare ogni volta che gli viene chiesto. È in ottima salute psichica, quindi la strada del Tso non è percorribile, a meno di non tirar su un terribile teatrino in cui due specialisti dovrebbero dichiarare il falso (l’infermità mentale di Cospito) e presentare la richiesta di intervento al sindaco di Milano, Beppe Sala, sotto gli occhi di tutta Italia.

Il corpo di Alfredo Cospito presto o tardi cederà, ne è consapevole. La paura della sua morte – e del rimbalzo politico delle colpe che ne seguirà – non ci autorizza a ignorare i paletti fondamentali che con tanta fatica si sono raggiunti in ambito sanitario: la volontà della persona, prima di tutto.

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