“Non possono sottopagarci, non possono lasciarci senza fondi per la scuola“. Arrabbiati e determinati gli insegnanti e docenti universitari hanno alzato i picchetti davanti all’85% degli istituti scolastici in Inghilterra e Galles che l’1 febbraio restano chiusi. Le loro voci fanno parte del coro di circa 500mila lavoratori: ferrovieri, vigili del fuoco, impiegati statali e delle dogane insieme in piazza in una storica azione sindacale (l’ultima risale a 11 anni fa) che ha già il suo hashtag, #walkoutwednesday. “Il mercoledì dello sciopero”. Una giornata da 200 milioni di sterline perse che si aggiungono agli oltre 6 miliardi stimati come costo degli scioperi che negli ultimi tre mesi stanno disseminando disagi e frustrazione in tutto il Regno Unito.

Treni fermi, scuole chiuse, code agli aeroporti, servizi pubblici alla paralisi e per gestire l’emergenza scendono in campo 600 militari in soccorso del governo, che ha pronta la cosiddetta legge anti scioperi con la quale prevede addirittura il licenziamento dei lavoratori assenti che non garantiranno i nuovi livelli di servizi essenziali dettati dal governo. Il controverso disegno di legge è passato in seconda lettura ai Comuni con 315 voti a favore e 246 contrari e si avvia ora verso l’approvazione definitiva della Camera dei Lord. Uno strumento legislativo estremo in un momento in cui, complice la carenza di oltre 1 milione di addetti che non si trovano e l’emorragia di infermieri e insegnanti sottopagati, i sindacati stanno guadagnando potere, supportati dalla maggioranza dei britannici che reclamano la riforma dei servizi essenziali. Il governo sembra tentare il tutto per tutto pur di non scendere a patti con i sindacati.

La richiesta di adeguare i salari all’inflazione record (oltre il 10% che ha toccato punte del 17% per alcuni beni alimentari) non è proponibile secondo il premier Rishi Sunak reduce dalla sferzata del Fondo Monetario Internazionale che ha declassato l’economia del Regno Unito, l’unica tra i paesi del G7 che quest’anno si contrarrà dello 0,6% invece che riprendersi.

Questo nel terzo anniversario della Brexit. L’infausto compleanno è stato celebrato con il pentimento del 57% dei britannici di fronte agli ormai evidenti impatti negativi che Bloomberg quantifica in 100 miliardi di sterline l’anno tra perdita di valore della sterlina, costi e burocrazie doganali responsabili di un deficit nella bilancia commerciale di 25 miliardi di sterline, 330mila lavoratori europei che mancano all’appello con cali di produzione e investimenti a innescare il rincaro dei prezzi ai consumatori e il circolo vizioso dell’inflazione.

La battaglia tra governo e sindacati sembra ancora lunga e tortuosa. Sunak, già affossato dagli scandali politici (nonché dal buco economico di 60 miliardi) ereditati dai suoi due predecessori Johnson e Truss, fatica a domare la spirale inflazionistica, l’impennata dei tassi di interesse ed i rincari di cibo, energia e mutui che stanno strozzando cittadini e imprese britanniche. “Il nostro obiettivo prioritario è dimezzare l’inflazione”, ha ribadito la ministra all’istruzione Gillian Keegan. Giovedì la Banca d’Inghilterra dovrebbe intervenire con il decimo rialzo dei tassi di interesse attesi al 4%, il livello più alto dal tracollo finanziario del 2008. Una stangata per chi fatica già a pagare mutui ed energia, spende 1000 sterline l’anno in più per la spesa e ora – se non si troveranno presto compromessi con le categorie – dovrà cominciare a pensare a rivolgersi a servizi privati.

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