di Federica Lo Torto, avvocata

La produzione e il profitto a tutti i costi, persino di vite umane: questo è il regalo che l’attuale governo ci ha fatto trovare nella calza della Befana. Il 6 gennaio, infatti, è entrato in vigore il Decreto-Legge n. 2/23 contenente le “Misure urgenti per impianti di interesse strategico nazionale”. Quali siano questi impianti è presto detto: si tratta di stabilimenti industriali che occupano almeno 200 persone e sono stati ricompresi in un apposito elenco stilato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri. L’impianto siderurgico di Taranto ne è fulgido esempio.

Ebbene, dalla scorsa Epifania, per volontà del governo, questi impianti devono continuare l’attività produttiva anche se sottoposti a sequestro preventivo, tutt’al più, “ove necessario” (art. 6), il magistrato può fissare delle prescrizioni che però tengano conto in primis dell’esigenza di assicurare la produzione. Tali prescrizioni, comunque, possono anche essere impugnate direttamente dalla presidenza del Consiglio o dal ministero delle Imprese o dal ministero dell’Ambiente; l’intento, neanche troppo velato, è quello di salvaguardare al massimo la famigerata continuità produttiva, anche se ciò comporta una significativa compromissione dell’autonomia della magistratura.

Ora, il sequestro preventivo è una misura cautelare che viene disposta dai magistrati in casi di eccezionale gravità, per tutelare la collettività dalle conseguenze dannose di un reato o dalla commissione di altri reati; su uno stabilimento industriale, il sequestro viene concesso perlopiù per reati ambientali, che ledono gravemente la salute dei lavoratori e delle persone domiciliate nei luoghi limitrofi all’industria. In altre parole, si tratta di reati particolarmente odiosi perché intaccano un valore fondamentale per ciascuno: la salute, individuale e collettiva.

Allora, come mai il governo vuole che una minaccia per la salute debba cedere il passo alla produzione?

Ma c’è di più! Col nuovo DL, in caso di condanna per reati alla salute o ambientali, gli Enti che gestiscono gli impianti strategici neppure rischiano sanzioni interdittive: è sufficiente, per loro, l’adozione e l’attuazione di “modelli organizzativi idonei a prevenire altri reati della specie di quello verificatosi” (art. 5, DL n. 2/23). Nella pratica, agli Enti basterà stendere un nuovo piano organizzativo e disporne un’attuazione anche solo formale. Al governo si sono, infatti, dimenticati di inserire l’aggettivo “efficace” per definire come dovrebbe essere attuata la nuova organizzazione atta ad impedire la commissione di nuovi reati.

A completare il quadro, il nuovo DL si è premurato di assicurare anche l’immunità penale a chiunque prosegua l’attività produttiva secondo le prescrizioni delle Autorità.

Sembra, dunque, non contare se e quanto l’attività degli stabilimenti strategici procuri un danno alla salute pubblica o alla integrità dei lavoratori o all’ambiente, conta soltanto produrre beni e profitti, sempre e comunque. Come se il guadagno giustificasse il rischio delle vite altrui! Eppure, basterebbe guardare oltreoceano, a quell’America da cui il governo ha già ampiamente mutuato l’atteggiamento bellicista. Negli Usa, difatti, si è imposta sulla scena economica la Business Roundtable, associazione che riunisce gli amministratori delegati di oltre 180 grandi aziende. Nell’agosto 2019 i 180 Ceo hanno diffuso al mondo un comunicato congiunto con cui si sono impegnati a rivoluzionare lo scopo di un’azienda: non più massimizzare i profitti per la gioia dei propri azionisti, ma investire nei dipendenti – con “compensi giusti” – creare valore per i consumatori, garantire una gestione etica delle relazioni con i fornitori e sostegno alle comunità locali dove le aziende operano. Solo rispettando questi principi, hanno scritto, si può sostenere un’economia che serva davvero un Paese, soprattutto perché questa è l’unica maniera per avere successo nel lungo termine, oggi.

Peccato che, invece, con il DL n. 2/23 il governo italiano pare abbia messo ancora al centro della società e dell’economia la “legge del profitto e della rendita”, come la definisce Papa Francesco, piuttosto che le persone e il lavoro, come dovrebbe essere, come è sancito anche dalla nostra Costituzione. Come si può mutare questo amaro scenario? Attivandosi, insieme, per far sentire la voce di chi è inascoltato e paga sulla propria pelle una scelta governativa che mortifica tanti, troppi, sempre più poveri e derelitti.

Mobilitiamoci tutti, Parlamento e società civile, per far abrogare il DL n. 2/23 e la relativa prossima legge di conversione: è davvero tempo di cambiare, in meglio.

#primalepersonenonilprofitto

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