Sono stato in varie occasioni al carcere minorile Cesare Beccaria di Milano, e credo che mi potrei limitare a scrivere quanto raccontò Eduardo De Filippo delle sue visite al Filangieri di Napoli in un intervento in Parlamento dopo essere stato nominato da Sandro Pertini senatore a vita (che mirabilmente Salvatore Red Alien riporta sul suo account di Facebook).

Da allora, la situazione delle carceri minorili nel nostro paese continua ad essere ignorata, come del resto quella delle carceri per adulti (uomini e donne) tornando alla ribalta solo in casi eclatanti come quello della recente evasione dei sette dal Beccaria. Del resto si è dimenticato e trascurato un gravissimo episodio di violenza fisica e di tortura nei confronti di un ragazzo ospite della struttura milanese, di poco tempo fa (come mi ha ricordato una mia ex allieva che vive in zona).

Il Beccaria è una realtà di cui la città non si occupa come sarebbe necessario, ci lavorano in tanti alacremente, dagli agenti, agli educatori ai volontari, ai cappellani, ma nessuno – a partire dal sindaco che lo visita, come del resto fa con un’altra istituzione milanese, la Baggina, in occasione delle feste comandate – sviluppa un’azione metodica e con risorse sufficienti a invertirne il cattivo andamento. Non è una questione di solo di strutture, è un tema di software, come si sarebbe detto quando lavoravo all’Ibm, un problema di intelligenze e volontà.

Il Beccaria è una trincea destinata da ultima a occuparsi della criminalità e del malessere giovanile, vi si incontrano realtà impensabili in cui ragazzi che hanno ucciso stanno con quasi bambini abbandonati e rei di piccoli episodi di criminalità. E’ una periferia nella periferia, stringe il cuore vedere amiche, parenti e conoscenti che ogni giorno da fuori dialogano con i ragazzi dentro affacciati alle finestre. Ricordo anche che il carcere minorile femminile a Milano non esiste più.

Chiuso l’inciso, ricordo anche che i direttori si sono alternati con continui cambiamenti negli anni, lasciando una situazione di instabilità e di incertezza di metodo e di filosofia che rappresenta una delle maggiori cause del malfunzionamento di questo luogo, che non dimentichiamo in passato è stato oggetto di scandali per i ritardi nei lavori di ristrutturazione. In questo contesto l’unica figura che dà e ha dato continuità al Beccaria è Don Gino Rigoldi (recentemente premiato con l’Ambrogino dal Comune), un gigante del pensiero e dell’azione nei confronti di “questi ultimi” (gli assessori sociali di Milano hanno spesso preferito occuparsi più assiduamente di altri ultimi).

E’ una situazione che rispecchia una condizione nazionale per la quale non basterebbe un direttore alla Brubaker (ricordate Robert Redford?) ma che comunque necessita di un’attenzione almeno pari a un centesimo di quella che è stata data dai media alla prima della Scala. Per me resta un dramma, poiché questi ragazzi in buona parte li ritroverò e li ritrovo nelle carceri di Pavia e Piacenza, una volta cresciuti, dove con Vivere con Lentezza operiamo da tempo.

Per quanto mi riguarda devo dire che in queste carceri per mia esperienza non ho visto detenuti in funzione di “cattivi maestri”, spesso ho visto atteggiamenti quasi paterni, ed educatori ed agenti attenti, ma di tutto quello che accade in un carcere è difficile sapere: a occhio (e mi scuso per questa valutazione non scientifica) mi sembra di capire che la recidiva dai carceri minorili sia molto elevata.

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