Le sigle non portano bene a Giorgia Meloni. Dopo aver ammainato la bandiera del Pos, anche quella del Mes è ormai a mezz’asta. Storiche battaglie della destra passano mestamente nel dimenticatoio. La presidente del Consiglio ha in sostanza dato via libera alla ratifica della riforma del Meccanismo europeo di stabilità, il famigerato “fondo salva stati”. Dopo che la Corte costituzionale tedesca ha dato il suo benestare Berlino si appresta a dare via libera al testo e l’Italia è rimasta l’unico dei 19 paesi dell’aera euro a non avere ancora approvato la riforma. Posizione scomoda che ha provocato anche un rimbrotto da parte della Banca centrale europea. “Spero che l’Italia faccia presto”, ha detto una decina di giorni fa la presidente Christine Lagarde.

Ieri Meloni ha provato ad indorare la pillola: “Firmo con il sangue la promessa che non utilizzeremo mai il fondo”. Lasciando intendere che però con la ratifica si può procedere. E infatti la premier ha aggiunto la riforma del Mes “non è un grande tema ne discuterà il Parlamento. Se siamo gli unici che non approvano la riforma blocchiamo anche gli altri“. La presidente del Consiglio ha poi spiegato che secondo lei il fondo salva Stati è “una cosa troppo poco utile”. E ha sottolineato: “Ma ci chiediamo perché il Mes non è mai stato usato da nessuno? Perché le condizionalità sono troppo stringenti e perché il Mes è un creditore privilegiato, cioè in caso di difficoltà è il primo a dover essere restituito. Allora io vorrei capire se c’è un modo per cui il Mes sia un fondo utile e che non rischi di metterci un cappio”. Non è escluso che con la ratifica del testo venga contestualmente proposta una risoluzione che impegna l’Italia a non fare ricorso a questo strumento cercando così di salvare capra e cavoli.

Tutti ci auguriamo naturalmente che l’Italia non abbia mai bisogno di utilizzare il Mes, che è pensato per garantire finanziamenti ad un paese che non riesce più a farsi prestare i soldi dal mercato a tassi ragionevoli. Una condizione a cui il nostro paese si è in qualche caso pericolosamente avvicinato in passato. Tuttavia se mai dovesse concretizzarsi una situazione del genere una volta che il sistema è quello ed è stato approvato diventa difficile sottrarvisi. Il boccone sarà difficile da ingoiare soprattutto per la Lega che della lotta al Mes e a ipotetiche ingerenze di Bruxelles ha sempre fatto una questione di principio. Tuttavia pure Fratelli d’Italia si è sempre professata ha mai guardato con favore a questi strumenti.

Quello che terrorizza i governi è il fatto che una volta chiesto l’aiuto del fondo scattano anche delle condizionalità. Bruxelles in sostanza interviene direttamente nelle scelte nazionali di politica economica. Ne hanno fatto poco piacevole esperienza Spagna e Portogallo nel mezzo della crisi dei debiti sovrano europei. La nuova versione del Mes è da questo punto di vista leggermente più “intrusiva”. La riforma dispone infatti che i vertici (il nuovo direttore generale è il lussemburghese Pierre Gramegna) siano chiamati a valutare in via preventiva la situazione finanziaria degli Stati, compresa la sostenibilità del debito stesso per cui non è comunque prevista nessuna ristrutturazione automatica. Il fondo diventa poi un paracadute per eventuali crisi bancarie, con la possibilità di mobilitare i suoi fondi per far fronte ad improvvisi aumenti delle esigenze di liquidità di un istituto. Durante la crisi pandemica il fondo è stato messo a disposizione degli Stati che avessero avuto bisogno di finanziamenti per al sanità, in questo caso senza che fosse prevista nessun altra condizionalità oltre a quella della destinazione dei fondi.

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In Spagna si può. Nella finanziaria più risorse per sanità, fasce deboli e giovani. Più tasse per banche e colossi energetici

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