di Angelo Lo Verme

Come tutti sappiamo il reddito di cittadinanza, introdotto in Italia con il decreto legge n. 4 del 28 gennaio del 2019 dal Governo Conte 1, è una misura di politica attiva del lavoro e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale di cui beneficiano circa 1,2 milioni di famiglie. Una misura sociale che con nomi e forme simili esiste ed esisteva già da tempo in tanti altri Paesi del globo. Eppure in Italia è un argomento che divide profondamente tra quelli che lo considerano una misura sociale indispensabile e quelli che ne considerano soltanto le storture che, purtroppo, inevitabilmente da noi accadono – come per ogni altra iniziativa del resto, poiché il solito furbetto escogita subito l’espediente per approfittarne. Purtroppo si confonde lo strumento con l’uso che se ne fa. E’ come per un bisturi che in mano ad un chirurgo serve per curare o salvare una vita umana e in mano ad un assassino diventa un’arma letale. Eppure si tratta dello stesso strumento che non si può abolire, ma soltanto controllarne gli usi potenzialmente impropri.

L’attuale governo Meloni intende ridimensionare la platea dei percettori del Rdc e continuare a erogarlo per tutto il 2023 soltanto alle persone non occupabili per età, cioè dai sessantenni in su, o per invalidità. Per gli occupabili, quindi di età tra i 18 e i 59 anni, il Rdc sarà erogato solo fino all’agosto 2023. Questi occupabili, nel frattempo, dovranno partecipare a corsi di formazione obbligatori di sei mesi e svolgere mansioni socialmente utili, dopodiché, alla prima offerta di lavoro congruo rifiutata, il sussidio gli verrà tolto. Per gli altri invece, dal 1° gennaio 2024, il contributo assumerà un nome diverso e, assicura il governo, continuerà ad essere erogato agli inoccupabili.

Continueranno a percepire il sussidio anche i nuclei familiari con la presenza di un over 60, di un minore, di un disabile, di una donna in gravidanza. La misura inserita nella manovra di bilancio farà risparmiare 734 milioni di euro. Il problema però deriva dall’obbligo di accettare un lavoro anche di pochi giorni per non perdere il Rdc, anche se per tali lavori intermittenti o stagionali potranno cumularsi fino ad un massimo di tremila euro; una volta superata questa soglia, il soggetto ritornerà ad essere un precario povero a termine o un disoccupato occupabile? Probabilmente il malcapitato oscillerà tra le due.

Nel Regno Unito esiste una misura assistenziale chiamata Universal Credit Uk nata nel 2012 con il Welfare Reform Act, quando era Primo Ministro il conservatore David Cameron, inglobando sei sussidi del vecchio sistema che coprivano diversi ambiti, dal sostegno alle famiglie con figli agli aiuti per pagare l’affitto per singoli e per nuclei familiari a basso reddito. Il sussidio spetta anche agli stranieri, senza il limite della residenza di dieci anni necessari da noi per il Rdc. L’Universal Credit inoltre viene erogato a circa sei milioni di cittadini inglesi e non è un tema divisivo come in Italia, dove il Rdc viene fatto percepire, con la complicità di alcuni media, come una misura ingiusta che privilegia i fannulloni che se ne stanno sdraiati sui divani a spese di chi lavora tante ore al giorno.

Nel Regno Unito a criticare l’Universal Credit paradossalmente è il Partito Laburista, ma per motivi opposti, cioè solo perché lo considera insufficiente e riservato a una ridotta platea a causa delle condizioni di accesso troppo stringenti. Inoltre tale sostegno viene rivalutato col crescere dell’inflazione, mentre il Rdc non prevede alcun meccanismo di adeguamento all’inflazione. Insomma, due concezioni e due mondi diversi.

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