Dopo un’altra estate record, intorno ai 700mila turisti al mese, Milano si appresta a chiudere in bellezza l’anno Primo dell’epoca Post-Covidica, in attesa di bissare l’en plein dei dieci milioni di presenze per l’ultimo anno prima della pandemia. E’ il lungo effetto dell’Expo 2015 sul cibo, sostengono in molti. Certo, è singolare che possa avere un appeal turistico così alto una città che, invece, sulla carta, mostra tali e tante controindicazioni strutturali: pessima qualità dell’aria, traffico e assembramenti, costi proibitivi e via elencando.

E’ un fenomeno, quindi, non riconducibile soltanto a qualche punto di forza commerciale (ristoranti, negozi, moda, design, ecc.) ma che si fonda sul principale elemento della cultura. E s’intende ‘cultura’ nel significato che in italiano si dà a questa parola da secoli (‘complesso di cognizioni, tradizioni, procedimenti tecnici e simili, trasmessi e usati sistematicamente, caratteristici d’un gruppo sociale, di un popolo o dell’intera umanità’, scrive l’erudito fiorentino Bruno Davanzati prima del 1600) e che nei dizionari etimologici contemporanei ‘vale civiltà, esprimendo la cura assidua per ottenerla, pari a quella dell’agricoltore’ (Cortellazzo-Zolli).

Della cultura milanese di oggi, che rende così attrattiva per tutti questa metropoli, fa parte un elemento di accoglienza in senso lato – volgarmente si considera dire di ‘apertura mentale’ -, che balza agli occhi nei quartieri arcobaleno più noti, intorno a Porta Venezia o a NoLo, ma che in realtà fortunatamente permea anche le istituzioni più tradizionali. Ha fatto scalpore, per esempio, dopo la guerra in Ucraina, il caso del Teatro alla Scala, e di recente il console di Zelensky ha contestato ufficialmente la scelta di aprire la stagione lirica con un’opera russa come Boris Godunov nonché di ospitare nuovamente recital di cantanti ‘putiniani’ come Anna Netrebko.

Pensano e dicono che sarebbe stato meglio scegliere un’opera dal glorioso repertorio patrio o puntare di più sugli artisti italiani anche molti tradizionalisti nostrani. E spiace vedere come si sia così poco elegantemente schierato con i neo-nazionalisti anche un personaggio del livello di Riccardo Muti, ma si sa che ai musicisti girano spesso le note in testa: un mito come Stockhausen è finito quasi al bando, negli ultimi anni di vita, per aver dichiarato, subito dopo l’11 settembre del 2001, che l’attentato alle Torri Gemelle era stato ‘un capolavoro cosmico’ (ma dal suo entourage precisarono che aveva aggiunto la specificazione ‘di Lucifero’).

Ora, il bello della programmazione del Teatro alla Scala in questo periodo – che contribuisce in maniera decisiva all’immagine della città e a richiamare turisti da tutto il mondo – è proprio l’apertura verso altri mondi e altre realtà culturali. Pensate che l’ultimo appuntamento della stagione che si chiude, The Tempest, è stato un evento con protagonista un compositore di musica contemporanea, l’inglese Thomas Adès, con un allestimento davvero spettacolare, firmato da uno dei più considerati registi teatrali, l’australiano Robert Lepage, con un cast tutto internazionale di prim’ordine e un risultato che anche solo l’aggettivo ‘magico’ racchiude. Ovviamente anche Boris Godunov si avvarrà di un team creativo straordinario, guidato dal regista danese Kasper Holden, che si è affermato sulla scena londinese, di cantanti di grande richiamo e bravura, dell’orchestra scaligera con il direttore Chailly chiamati a una prova da far tremare i polsi, affrontata con maestria solo da Claudio Abbado nel 1979.

A proposito di certe polemiche (al di là del merito, così ben analizzato da Massimo Fini sul Fatto del 17/11), quel che va notato è anche la singolare corrispondenza di rimandi tra queste due vicine proposte. L’opera nuovissima di Adés è cucita sul capolavoro shakespeariano della meraviglia e dell’amore per l’umanità, La Tempesta (per una curiosa coincidenza si poteva vedere al Piccolo Teatro di Milano, in quasi contemporanea, la versione teatrale di Alessandro Serra, puntata proprio sul tema della misericordia). La prima della nuova stagione, recita la locandina con tanto di bella immagine-shock, propone ‘lo sconvolgente affresco sulla brutalità e la solitudine del potere’ che è il Godunov di Modest Musorgskij, ispirato a un testo di Puškin dove Holten potrà esaltare gli echi delle tragedie storiche del Bardo.

Chi ha avuto la fortuna di assistere alle repliche ‘tempestose’ di Adès e ancor meglio chi riuscirà a metter piede alla Scala per Boris Godunov (già tutto esaurito) non potrà restare indifferente al messaggio di opere che, proprio per la stessa natura impervia dei contenuti musicale, teatrale e testuale, si offrono in modo ancor più profondo alla riflessione e alla rielaborazione degli spettatori. E qui si torna alla cultura del vocabolario, e alla cura che richiede per continuare a potersi dire ‘civiltà’.

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