Le croci di legno provvisorie infilate nelle tombe, anch’esse provvisorie, arrivano fino a 401, anche se a Izjum – città orientale dell’Ucraina tra Kharkiv e il Donbass – le persone uccise dall’esercito invasore russo sono state di più. L’ombrosa e suggestiva pineta alla periferia nord della città assediata per sette mesi ha nascosto l’orrore di una pagina dai forti caratteri genocidiari, per poi riconsegnare un fardello di dolore. Izjum come Bucha, la città-simbolo delle violenze di Mosca dal 24 febbraio scorso in avanti.

Dall’inizio di marzo fino a oltre la metà di settembre, l’esercito russo ha usato la pineta come base militare e palestra per atti di macelleria umana. Prima ha scavato enormi buche, una dozzina almeno, infilandoci dentro centinaia di corpi e poi, prima di andarsene, ci ha abbandonato sopra cumuli di rifiuti: razioni alimentari, beni di prima necessità e personali. Un camposanto temporaneo vicino al Kladovyshshe di Izjum, il cimitero cittadino.

Dopo aver escluso la presenza di mine, le autorità forensi ucraine hanno dissodato il terreno portando alla luce centinaia di corpi. E così i rifiuti dei russi si sono mescolati con gli abiti dello sporco mestiere. Alcune delle tombe provvisorie hanno i nomi delle vittime scritte sulle croci di legno grezzo. Una, la numero 276 – poi diventata 282, è dedicata a Viktor: aveva 17 anni ed è stato ucciso alle 12,36 del 3 maggio scorso.

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