Che i Megadeth avessero tratto giovamento dall’ennesimo, importante, cambio di formazione è stato quanto mai evidente con l’ultimo “Dystopia”: ovvero il disco che è valso a Dave Mustaine il primo e unico Grammy in carriera (e poco importa che proprio al momento della premiazione sia partita “Master Of Puppets”, quindi i Metallica). Che col successivo disco riuscissero a superarsi, confezionando uno dei loro migliori lavori negli ultimi 15-20 anni era, questo sì, ancora meno scontato.

Intendiamoci subito: “The Sick, The Dying… And The Dead!” non è “Peace Sells…But Who’s Buying?”, “So Far, So Good… So What!” e nemmeno “Rust In Peace” o “Countdown To Extinction”: raccoglie piuttosto tutti gli elementi, unici, che hanno caratterizzato una band dalla carriera importante, che ha toccato sì vette alte ma è stata anche protagonista di momenti decisamente poco significativi.

Si ha sin da principio l’impressione che i quattro – per la prima volta in studio con Dirk Verbeuren alla batteria, già membro ufficiale dal vivo – non abbiano voluto scimmiottare il proprio passato (che appartiene a dire il vero al solo Mustaine) prendendosi la libertà di lasciarsi andare ai tecnicismi ma menando, prima di tutto, come fabbri. A dispetto di quello che sembrava far intendere l’ex David Ellefson, cacciato un anno fa senza un vero motivo, “The Sick, The Dying… And The Dead!” è certamente connotato da una profonda vena progressive ma è, più di ogni altra cosa, un album thrash o, a seconda dei frangenti, hard rock e heavy metal.

L’incipit – che dalla title track giunge alla quarta “Dogs Of Chernobyl”, passando per “Life In Hell” e “Night Stalkers” (feat. Ice T) – è di quelli che inchiodano e non ammettono discese se non (a proprio rischio e pericolo) tirando il freno a mano. Un primo filotto pretenzioso, importante, che lascia spazio a una seconda metà meno ispirata, forse riempitiva, che riemerge facendo capoccella con il breve strumentale di “Psychopathy”, per poi mostrarsi, fiera e definitiva, con le successive “Killing Time”, “Soldier On!” e “Célebutante” (che, a proposito di Metallica, un po’ strizza l’occhio a “Hit The Lights”).

Se “Mission To Mars” sembra invece rubata a “Cryptic Writings”, che i fan dei Megadeth non annoverano certo tra i capolavori del gruppo, l’ultima “We’ll Be Back” – che di questo lavoro è stata il primo estratto – chiude, come si era iniziato, col botto: tra palm mute supersonici, continui cambi di tempo e piogge di assoli. Segnalo, per chi avrà voglia e modo di acquistare o ascoltare la deluxe edition di questo disco, anche una cover molto riuscita di “Police Truck” dei Dead Kennedys, e un’altra – divertente, nulla più – di “This Planet’s On Fire (Burn In Hell)” di Sammy Hagar con presente il diretto interessato.

“The Sick, The Dying… And The Dead!”, con le dodici canzoni che lo compongono, è un manuale dell’invecchiamento attivo: il veicolo col quale i Megadeth muovono alla volta di nuove sfide consapevoli dei limiti dati dall’età e da un’ispirazione, com’è naturale che sia, intermittente. Un album di ottima fattura, che non merita gli 8 e i 9 concessi in giro con troppa facilità quasi più per affetto, che non per merito, ma un 7,5 lo strappa, invece, facile. In finale un motivo valido, l’ennesimo, per continuare a pregare e annoverare nel proprio pantheon un musicista tra i più talentuosi e influenti di sempre.

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