Forse sorriderebbe Mauro per questa coincidenza: l’anniversario del suo assassinio quest’anno cade all’indomani delle elezioni politiche più tragicomiche di sempre. Tragiche perché sullo sfondo hanno un possibile conflitto nucleare. Comiche perché animate da trampolieri e funamboli che imbarazzano più che incantare. E forse Mauro sarebbe pure un poco scocciato di essere ricordato ogni anno come una vittima di mafia, colpito perché bisognava chiudere quella bocca impavida e libera e quegli occhi troppo curiosi. Indubbiamente vero, per carità: la mafia di sopra e quella di sotto si trovarono d’accordo sulla necessità di eliminare Mauro Rostagno, colpevole di spiegare le cose del trapanese per come stavano, aiutando soprattutto i più giovani a darsi coraggio. Che ci sia stata, anche nel caso Rostagno, la solita vergognosa saldatura tra mafia di sotto e mafia di sopra lo dicono la condanna all’ergastolo del boss Virga come mandante e le decine di depistaggi che hanno costellato i trent’anni trascorsi da allora.

Perché scocciato? Perché l’etichetta di “vittima di mafia” forse rischia di essere troppo stretta, una casella che finisce col neutralizzare il potenziale rivoluzionario di un uomo che non era pericoloso soltanto per le mafie, ma per tutti coloro che esercitavano ed esercitano il potere puntando sul controllo sociale, con modalità soltanto un poco più raffinate di quella “forza di intimidazione del vincolo associativo” essenzialmente mafiosa. C’è del pericolosamente rivoluzionario nell’attenzione di Rostagno alla lingua che si adopera: ebbe a dire, intervenendo a Trento, “ciò che già c’è giace”, riferendosi alla impossibilità di trovare parole adeguate per descrivere cosa fosse stato il ’68. Parole adeguate non ce ne erano perché le parole che venivano alla mente erano quelle insegnate dall’ordine stesso che si era voluto contestare: un ordine, cioè un potere, che sempre si riflette nel monopolio dell’immaginario e quindi della parola. Liberarsi dall’immaginario costruito da chi ha il potere (oggi sappiamo che l’1% della popolazione mondiale più ricca detiene quasi il 50% delle ricchezze globali), scegliendo con cura parole “nuove”, è il primo passo per qualunque tentativo di trasformazione: Rostagno è in buona compagnia, da Mark Fisher e padre Alex Zanotelli diffusa è la sintonia.

C’è del pericolosamente rivoluzionario in Rostagno per la sua gioia di vivere. Una “gioia” che non ha nulla a che fare con l’illusorio divertimento provocato dall’intrattenimento a buon mercato, sedativo e alienante. Ma la “gioia” che piuttosto deriva dalla sensazione di vivere pienamente, facendo cioè perfettamente coincidere pensiero ed azione: essere tutto in ciò che si fa, perché ciò che si fa traduce la propria scommessa esistenziale. È questa gioia che Mauro esprime quando evoca il ’68, è questa “gioia” che manifesta quando racconta di Saman, la comunità di accoglienza dove arrivavano persone a pezzi, alle quali si offriva la terapia della presenza, della condivisione, del gioco e della bellezza. È’ una gioia rivoluzionaria questa, perché incontrollabile, imprevedibile, destabilizzante, insomma inaccettabile per chi detiene il potere e vuole dormire sonni tranquilli. I mafiosi insofferenti dei servizi tv di Rostagno, come degli sberleffi radiofonici di Peppino Impastato, sono soltanto il gradino più basso della piramide.

Quanto sarebbe piaciuta a Mauro Sofia Raffaeli! Sono certo che sarebbe rimasto incantato dal suo sguardo: c’è questa gioia in quello sguardo. Una gioia venata di fierezza. E allo stesso modo chissà quanto Mauro oggi si fermerebbe a riflettere sulla quantità di ragazzi e ragazze che ricorre al sostegno psicologico perché rattrappita e aggrovigliata dentro. Ragazzi e ragazze lontani dalla pienezza del vivere, lontani da quella forma di gioia esplosiva, intimiditi da una esistenza resa claustrofobica dagli adulti, sempre più agorafobici e rassegnati (gli adulti!).

Forse Mauro, se fosse vivo oggi e fosse chiamato ad intervenire ad un convegno su mafia e antimafia, prenderebbe il microfono, si metterebbe seduto sul bordo del palco, guarderebbe la platea, sorriderebbe e direbbe: “Bambini cari, carissimi, carini! Antimafia? Gioia, libertà e cultura! Sgranocchiare libri come carote, incontrarsi senza paura, ficcare il naso ovunque senza pigrizia, difendere la scuola pubblica dalle crepe e dalle sponsorizzazioni, prendersi cura di sé, degli altri e della Terra. Il resto viene di conseguenza. Me lo disse anche Borsellino che la magistratura penale fa soltanto un pezzo di lavoro, quello della repressione, ma che la lotta contro la mafia si può vincere soltanto con uno sforzo globale. Ma gli sforzi, per essere globali, hanno bisogno di persone super vive!”.

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