L’ombra della corruzione piomba sulle elezioni regionali in Sicilia. A tre giorni dal voto una candidata di Fratelli d’Italia finisce agli arresti insieme a un imprenditore e a un ex rettore. L’aspirante consigliera regionale si chiama Barbara Mirabella ed è una candidata del partito di Giorgia Meloni: fino a poco tempo fa è stata assessore alla Cultura del comune di Catania nella giunta di Salvo Pogliese, anche lui candidato da Fdi ma al Senato. Arrestata dalla squadra mobile di Catania, il gip ha disposto per Mirabella i domiciliari e la sospensione dall’attività per un anno per altri due indagati: l’ex rettore Francesco Basile dal ruolo di direttore dell’Uoc della Clinica Chirurgica del Policlinico, e l’imprenditore Giovanni Trovato, dall’esercitare la sua attività nel settore delle forniture ospedaliere. L’inchiesta è stata coordinata dalla Procura di Catania e riguarda due filoni di indagini avviate sul professore Basile.

L’inchiesta – Le indagini su Mirabella e l’ex rettore Basile, quest’ultimo già a giudizio per presunti concorsi universitari “pilotati” all’ateneo di Catania, riguardano l’organizzazione del 123simo congresso di nazionale – che si è tenuto nel settembre del 2021 – della Società italiana di chirurgia (Sic) del quale il professore è il presidente. Secondo la Procura di Catania dalle indagini della squadra mobile della Questura sarebbero emersi “stretti rapporti tra Basile, gli amministratori della società New congress srl”, che ha gestito l’organizzazione, e “l’allora assessore del Comune di Catania con delega per i Grandi eventi, Barbara Mirabella”, che, è la tesi dell’accusa, “sarebbero andati oltre la fisiologia” del ruolo istituzionale. Per la Procura, infatti, per “ottenere l’incondizionato ausilio dell’assessore, e, dunque, dell’amministrazione comunale, per tutte le necessità dell’organizzazione del prestigioso congresso, gli amministratori della New congress srl, a ciò indotti dal Basile, avrebbero accettato di pagare 10.000 euro alla società Expo srl, della quale era socia l’assessore Mirabella, per servizi non necessari all’organizzazione dell’evento”.

Le reazioni politiche – “Constato che il provvedimento è stato emesso ed eseguito a pochi giorni dal voto e, fermo restando le valutazioni giuridiche sul reato che faremo nelle sedi opportune, che la misura cautelare per l’episodio contestato mi sembra eccessiva”, dice l’avvocato Enrico Trantino, che difende Mirabella. L’arresto a tre giorni dal voto ha provocato numerose reazioni politiche. “Premetto, tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio, ma è certo che l’arresto della candidata all’Ars del partito di Giorgia Meloni, rappresenta certo il miglior viatico per le prossime elezioni regionali che già vedono in corsa per la presidenza un candidato sotto processo nell’ambito del processo Montante”, dice Nuccio Di Paola, candidato M5S alla presidenza della Regione. “‘Se le accuse alla candidata di Fratelli d’Italia – continua Di Paola – dovessero essere confermate – ci troveremmo di fronte ad un odioso reato, quello della corruzione, contro il quale il Movimento 5 stelle si è concretamente e reiteratamente battuto fino ad arrivare all’approvazione della cosiddetta Spazzacorroti, che dal gennaio 2019 è legge dello Stato”. Secondo l’aspirante governatore dei 5 stelle “l’arresto della candidata di FdI all’Ars non è certo uno spot per convincere gli indecisi a correre alle urne, tutt’altro. E questo, in un periodo in cui l’astensionismo è da tempo il partito di maggioranza assoluta, non è certo un bene per la democrazia”. “Il quadro che emerge dall’inchiesta catanese racconta una Sicilia in cui la politica, la salute e l’istruzione sono considerati bottino di guerra, proprietà private, privilegio di furbastri e malversatori. Sono appunto la politica, la sanità, l’università che vogliamo liberare e riscattare”, dice Claudio Fava, della lista Cento Passi. “Il metodo di costruzione delle liste e di gestione del consenso da parte del centrodestra è purtroppo sempre lo stesso, lo abbiamo contestato più volte e i fatti stanno lì a dimostrarlo”, dice invece Anthony Barbagallo, segretario del Pd in Sicilia.

Le presunte condotte concussive – Secondo la Procura nella fase preparatoria del congresso della Società italiana di chirurgia sarebbero “emerse condotte concussive da parte del Basile nei confronti di due aziende farmaceutiche per finanziarlo”, e una volta con 80.000 euro, anche attraverso, contesta l’accusa, “esplicita minaccia della sospensione da parte del Policlinico dell’acquisto di prodotti dalla due aziende”. L’imprenditore Giovanni Trovato, è la ricostruzione della Procura, avrebbe consegnato un contributo di 5.000 euro per “ottenere, grazie all’intervento del Basile, l’incremento da parte del Policlinico dell’acquisto di dispositivi realizzati dalla propria azienda, la Medical Ti Spa”.

Il procedimento sull’ex rettore – Dal procedimento sull’ex rettore Basile, sospeso per un anno dall’incarico di direttore dell’Uoc della Clinica Chirurgica del Policlinico etneo emerge che, secondo le accuse, a due medici, da qualche anno in pensione che erano stati in servizio nel Policlinico di Catania, sarebbe stato permesso di continuare a “utilizzare indebitamente e reiteratamente per i propri pazienti privati gli ambulatori di cui avevano avuto la disponibilità quando erano in servizio – sui quali era rimasta una targa con il loro nome, la loro specializzazione e i loro numeri telefonici), le sale operatorie del Policlinico, il materiale di consumo e gli strumenti dell’ospedale ed, inoltre, di continuare ad avvalersi dell’aiuto dell’equipe dell’ospedale”. Sarebbero stati 14 gli interventi chirurgici eseguiti dai medici in quiescenza e in relazione ai quali sarebbero stati “commessi dei falsi nella compilazione delle cartelle cliniche nella parte concernente l’identità del medico chirurgo e sarebbero stati indebitamente utilizzati i mezzi e il personale dell’azienda ospedaliera universitaria”. Secondo l’accusa, gli interventi chirurgici in questione sarebbero stati “inseriti nel programma operatorio ufficiale con il beneplacito del Basile ed eseguiti materialmente dai medici in pensione che però non comparivano, ovviamente, nelle cartelle cliniche laddove, invece, la firma del medico chirurgo risultava essere stata apposta da un collega compiacente regolarmente in servizio”.

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