di Roberto Iannuzzi*

All’indomani dell’offensiva ucraina che ha portato alla riconquista di un’ampia porzione di territorio nell’oblast nordorientale di Kharkiv, tutti gli attori coinvolti nel conflitto paiono motivati a raddoppiare i propri sforzi puntando principalmente su un unico strumento, quello militare. I vertici ucraini, imbaldanziti dall’apparente successo, sono determinati a chiedere più armi ai loro sponsor occidentali, ritenendo di aver dimostrato che “la guerra può essere vinta”. E questi ultimi sembrano inclini a dargliele. A Mosca, per contro, vengono dibattute le ragioni della débâcle, e si discutono i modi per ristabilire la credibilità militare russa. Tali modi ruotano inevitabilmente attorno a un maggior impiego di uomini e mezzi, sebbene una mobilitazione generale dell’esercito sia stata esclusa.

Se in Occidente si registra un’eccessiva euforia, in Russia vi è un atteggiamento tutt’altro che rinunciatario. Tra gli analisti e gli strateghi russi predomina infatti la convinzione che Mosca abbia ancora in mano le redini del conflitto. Se la situazione sul terreno si sta complicando, dipende esclusivamente dal sostegno sempre più aperto fornito a Kiev dalla Nato, si dice a Mosca: ragione in più per non mollare. Secondo i russi, questa è una guerra Russia-Nato, e come tale rappresenta una minaccia esistenziale: una sconfitta non può essere contemplata. Il profondo coinvolgimento della Nato è confermato da fonti stesse del Pentagono, citate da almeno due articoli del New York Times. Secondo tali fonti, la recente controffensiva ucraina era stata organizzata nei mesi scorsi in stretto coordinamento con i vertici militari e l’intelligence di Stati Uniti e Regno Unito.

Americani e inglesi hanno fornito informazioni chiave sui posti di comando, i depositi di munizioni ed altri punti nodali dell’infrastruttura militare russa. Washington ha fornito la maggior parte delle armi (per un valore complessivo di oltre 15 miliardi di dollari dall’inizio di quest’anno). Migliaia di soldati ucraini sono stati addestrati in Gran Bretagna, Germania ed altri paesi. Forze speciali britanniche hanno coordinato le operazioni ucraine verso sud, in direzione della Crimea, e addirittura in territorio russo, oltre il confine, a nordest. Con gli americani, sono state individuate due direttrici principali lungo cui effettuare la controffensiva: verso Kherson, a sud, e da Kharkiv verso il confine, a nordest.

L’operazione verso Kherson, lungamente preannunciata ed entrata nel vivo ai primi di settembre, ha incontrato una forte resistenza da parte di difese russe ottimamente equipaggiate, ed ha causato ingenti perdite nelle file ucraine. La seconda offensiva, verso nordest, è partita invece segretamente il 9 settembre incontrando solo deboli difese russe (parte delle quali era stata peraltro dirottata a sud), ed ha perciò prodotto una rapida avanzata. Il differente esito delle due iniziative è dovuto essenzialmente alla natura della cosiddetta “operazione militare speciale” russa. Siccome il Cremlino ha voluto mantenere un impegno militare di basso profilo in Ucraina, schiera tuttora nel paese un numero limitato di truppe: 150.000 soldati regolari, e circa 50.000 uomini fra truppe delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk ed altri corpi.

Queste forze sono dispiegate su un fronte di oltre 1.000 chilometri, che presenta inevitabilmente punti scarsamente difesi. Gli ucraini hanno schierato migliaia di uomini ben equipaggiati e freschi di addestramento in un punto del fronte, nella regione di Kharkiv, presidiato solo da uomini della Rosgvardia (la Guardia nazionale russa) e delle due repubbliche separatiste. Preso atto della situazione, i vertici militari russi hanno semplicemente deciso di ritirare queste forze per attestarle su un fronte più difendibile. Gli ucraini sono avanzati in profondità, praticamente senza combattere, ma subendo comunque numerose perdite per il massiccio fuoco difensivo dell’artiglieria russa. Sia per le perdite subite, che per l’allungamento delle linee di rifornimento, le forze di Kiev hanno probabilmente esaurito la propria spinta propulsiva lungo quella direttrice.

Ciò significa che, più che a una vera svolta nel conflitto, siamo di fronte a una fase di stallo. La scelta del Cremlino di condurre una guerra a bassa intensità, riconquistando lentamente il territorio del Donbass, consente agli alleati occidentali di Kiev di rimpiazzare le perdite di uomini e materiali inviando nuove armi e addestrando altri soldati. L’esiguo numero di truppe russe non consente a Mosca di difendere adeguatamente tutti i punti del fronte. Anche l’avanzata militare russa sembra molto rallentata. L’attuale situazione porterà probabilmente i due campi contrapposti a investire ulteriori risorse nel conflitto.

La decisione americana di sbandierare apertamente il proprio ruolo fondamentale nella recente controffensiva ucraina sembra quasi una provocazione nei confronti di Mosca, un pericoloso tentativo di spingere il Cremlino verso un maggior coinvolgimento militare. La rinnovata determinazione di Kiev, l’assenza di spiragli negoziali e l’esigenza russa di ristabilire il proprio prestigio militare dopo la recente débâcle, condurranno tutti gli attori coinvolti verso un probabile inasprimento del conflitto e verso un prolungamento della guerra economica ad esso collegata, nella speranza che l’avversario sia il primo a cedere. A soffrirne saranno tutti, indistintamente.

*Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).

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