Il governo Draghi ha stanziato finora circa 50 miliardi di aiuti a pioggia per rispondere al caro energia. Ma l’ha fatto senza dare priorità agli utenti più vulnerabili, dunque sovvenzionando “i consumi di tutti, incluse le seconde case“. Cosa che ha fatto lievitare il conto per le casse pubbliche senza risolvere i problemi: non a caso ora si cercano altre risorse per varare un nuovo decreto. Nel frattempo poco è stato fatto sul fronte dei risparmi – il Piano per ridurre i consumi è stato pubblicato solo pochi giorni fa e non riguarda l’industria – e non è stata messa in campo una strategia di sostituzione strutturale del gas con le rinnovabili. E’ l’analisi del think tank indipendente per il clima Ecco, che chiede di rivedere i meccanismi di sostegno, incentivare la diversificazione dalle fonti fossili, rendere strutturali i bonus per l’efficientamento energetico degli edifici e trasformare Cdp, Sace e Invitalia in “banche per il clima” che concedano crediti e garanzie per gli investimenti green delle imprese.

“In politica manca ancora la capacità di fare debito buono“, commenta Matteo Leonardi, cofondatore e direttore esecutivo politiche nazionali di Ecco, utilizzando non a caso l’espressione con cui Draghi nel pieno della pandemia spiegò come distinguere la spesa produttiva e necessaria da quella che è solo una zavorra. A dire il vero l’esecutivo dimissionario ha chiesto l’ultimo scostamento di bilancio nella primavera 2021 e per gli interventi contro lo choc energetico non ha aumentato l’indebitamento. In compenso sono state utilizzate a quello scopo (e lo stesso accadrà per finanziare il prossimo decreto) tutte le maggiori entrate fiscali, che di norma andrebbero a ridurre il debito/pil. Insomma: l’impatto sui conti pubblici c’è eccome. Il problema è che “le misure sono state concepite in maniera poco selettiva rispetto alla disponibilità economica delle famiglie, all’attività economica, livello di consumo o area geografica”. E il meccanismo di sostegno ai prezzi dell’elettricità “è stato confuso con la necessità di riformare gli oneri di sistema, che sono stati tolti dalle bollette elettriche e trasferiti nella fiscalità generale, senza tuttavia assicurare una copertura permanente di questa operazione. Il costo ad oggi da esenzioni oneri di sistema ammonta a oltre 12 miliardi“.

Meglio sarebbe stato, notano gli analisti di Ecco, concentrarsi sui più vulnerabili, che “consumano di meno e sono i primi a ridurre i propri consumi per ragioni di necessità”. Anche perché la “sostenibilità di questo schema, anche a fronte del mancato recupero degli extraprofitti delle imprese energetiche, è messa alla prova dal grande sacrifico che tale approccio impone alla spesa pubblica”. Non solo: questi aiuti non selettivi non hanno “hanno dato un segnale contraddittorio ai consumatori sulla necessità dei risparmi“, nota Ecco. Non a caso, mentre per esempio la Germania riduceva fortemente i consumi complice una campagna informativa battente e dagli sforzi di istituzioni ed enti locali, “nei primi sette mesi dell’anno la domanda di elettricità è cresciuta del 2,7% rispetto al 2021. Questo, unito a siccità e mancata produzione idroelettrica, ha determinato un incremento del 14% della produzione fossile, prevalentemente a gas”. L’industria, che giocoforza ha messo in atto un razionamento forzato anche se il governo continua a sostenere , ha invece ridotto i consumi del 2,8% con un crollo a luglio.

Dunque l’incentivo al risparmio da parte del governo non c’è stato: a indurlo, finora in misura contenuta, sono state solo ragioni di prezzo. Che hanno determinato una lieve riduzione (2%) della domanda di gas nei primi sei mesi dell’anno. Se invece fossero stato adottate le misure di risparmio e sviluppo di rinnovabili proposte da Ecco in aprile, in 12 mesi i consumi di gas si sarebbero potuti ridurre di 14,7 miliardi di metri cubi con un risparmio nella bolletta energetica di circa 31 miliardi di euro a prezzi di 200 euro al megawattora. Ora invece la Penisola, in assenza di forniture dalla Russia, affronterà un inverno “sul filo del rasoio“: considerando i contratti con nuovi fornitori e gli stoccaggi, si arriva a una disponibilità teorica giornaliera (senza tener conto del nuovo rigassificatore, che è improbabile sia operativo entro i primi mesi del 2023) di 345 milioni di metri cubi di gas a fronte di una domanda di picco che lo scorso inverno è stata pari a 378 milioni di metri cubi. Considerando che i rincari restringeranno la domanda del periodo novembre-marzo a circa 37,4 miliardi di metri cubi di gas, le forniture e gli stoccaggi sarebbero appena sufficienti.

Oltre alle critiche sugli aiuti a pioggia e l’assenza di una selezione in base al reddito, Ecco rileva anche che i bonus elettrodomestici andrebbero indirizzati a favore della diffusione di quelli più efficienti, anche in questo caso “riservando le risorse ai più vulnerabili”. Un approccio selettivo andrebbe adottato anche per i trasporti: oggi la riduzione delle accise su benzina e diesel ne incentiva i consumi – e dunque l’uso dell’auto – “senza criteri selettivi o condizionalità”, mentre il bonus trasporti pubblici riservato a chi ha redditi sotto i 35mila euro si ferma a 60 euro in tutto. Servirebbero poi obblighi cogenti su riscaldamento, raffrescamento e illuminazione per commercio e piccole imprese, accompagnati da meccanismi fiscali per spingere gli investimenti negli edifici: oltre ai sostegni temporanei “va assicurata la permanenza di un sistema strutturale di superbonus/ecobonus in grado di portare l’efficienza energetica nelle abitazioni. Un meccanismo che raggiunga elevati livelli di efficienza, escluda le tecnologie a gas, sia garantito nel lungo periodo, grazie a una copertura dalla fiscalità energetica, e abbia un budget riservato per l’edilizia popolare”.

Allo stesso modo, sganciare il prezzo delle rinnovabili dal prezzo del gas nel mercato elettrico è una misura emergenziale che va accompagnata da una vera riforma funzionale allo sviluppo delle rinnovabili, che comprenda incentivi per gli accumuli. Ma “il nodo delle autorizzazioni rinnovabili di grande taglia, il cuore del sistema energetico, gli impianti che dovremmo realizzare a ritmi superiori ai 10 GW all’anno, rimane irrisolto. Nel 2021 sono stati installati meno di 1,5 GW di nuove rinnovabili e sono state concesse autorizzazioni per 3 GW e altri 2 GW nei primi sei mesi del 2022″. La Valutazione di Impatto Ambientale nazionale rimane ancora “sistematicamente bloccata dal ministero dei Beni Culturali: i soli impianti eolici approvati quest’anno vedono la firma del Presidente del Consiglio. Davvero pensiamo di affrontare la crisi energetica chiedendo al Presidente del Consiglio di firmare per ogni singolo impianto? Inoltre, nessuna traccia dell’eolico off-shore. Le autorizzazioni di impianti fotovoltaici procedono a macchia di leopardo solo in alcune regioni, subendo ancora gli umori dei governatori”. I programmi dei partiti in vista delle elezioni non lasciano ben sperare: “Tutti si dicono favorevoli alle rinnovabili, ma come intendano superare i nodi ancora irrisolti non è emerso”.

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