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Regina Elisabetta morta, “tutto è mutevole, proprio tutto, tranne lei”: la Sovrana raccontata al cinema, da Roger Michell a The Crown

Fin da giovanissima principessa aveva colto il valore delle immagini fotografiche ma anche di quelle in movimento, per cui gira voce che il regalo di nozze di suo padre re Giorgio VI fosse proprio un super8 per rendere immortali i ricordi di famiglia

di Anna Maria Pasetti

Non è necessario essere monarchici per abituarsi all’icona della Regina. Il tempo e il mondo ruotano vorticosamente come tifoni tropicali: tutto è mutevole, proprio tutto. Tranne lei, Elisabetta.
Roger Michell

È stato lui, il regista Roger Michell, a realizzare il documentario definitivo sulla sua Regina. E mai avrebbe immaginato di scomparire prima. Oggi, purtroppo, anche lei l’ha seguito. Dunque London Bridge is Down. Già, quell’espressione in codice che mai avremmo voluto sentir pronunciare. Era nell’aria? Nessuno potrà mai saperlo con certezza. Il paradosso è che in pochi sentiranno la mancanza di Queen Elizabeth II la cui “presenza” sembra da decenni coincidere con l’immortalità, con quel sentimento di “eterno” che incarna l’utopia dell’umana sorte. Maestra d’iconologia, fin da giovanissima principessa aveva colto il valore delle immagini fotografiche ma anche di quelle in movimento, per cui gira voce che il regalo di nozze di suo padre re Giorgio VI fosse proprio un super8 per rendere immortali i ricordi di famiglia, della sua famiglia nascente insieme all’amato Filippo. Che sia leggenda o verità non è dato a sapere, certo è invece che su Sua Maestà restano diverse opere cinematografiche e televisive, alcune anche di alto livello, che hanno concorso a consacrare se non rafforzare un immaginario collettivo già straordinario, unico nel suo genere. Grazie a questo patrimonio audiovisivo la sovrana britannica più longeva della Storia d’Albione, il simbolo incarnato che univa due millenni dentro al corpo di una donna fedele a se stessa da sempre, continuerà a vivere nei cuori di un pubblico mondiale.

Oltre appunto al citato Michell che ha realizzato il doc Elizabeth, uscito appena lo scorso giugno nelle sale, ecco emergere alla memoria in ordine sparso il magnifico e popolarissimo The Queen (2006) di Stephen Frears con una mimetica e premiatissima Helen Mirren, ma anche il romantico film Una notte con la regina (2015) di Julian Jarrold in cui un’inedita Elisabetta a soli 17 anni diventa protagonista di una favola d’amore mai confermata dalla Storia. E perché no il corto “olimpico” Happy and Glorious che Danny Boyle girò in occasione dell’inaugurazione delle olimpiadi di Londra nel 2012: Her Majesty in carne e ossa recita accanto a Daniel “James Bond” Craig, ed ancora il gioiellino di Paolo Sorrentino Voyage au bout de la nuit girato durante la pandemia sulla propria terrazza in cui Elisabetta II dialoga amabilmente (e ironicamente) con Papa Francesco. Tutto questo, naturalmente, per arrivare alla monumentale serie Netflix The Crown (2016- in corso d’opera), ideata e scritta da Peter Morgan che ha definitamente portato nelle case del pianeta vita pubblica e (verosimilmente) privata di questa sovrana arrivata a 96 anni di vita e 70 di regno. Per la cronaca è giusto ricordare che accanto a questi lavori cine-televisivi esiste un manipolo di documenti audiovisivi dedicati alla Queen e alla Royal Family (ad esempio i redazionali Royal Family, voluto da Prince Philip nel 1969 e che vide per la prima volta la BBC accolta a Buckingham Palace), ma anche una quantità indefinita di citazioni “cameo” della Regina in opere di qualunque genere, formato e provenienza. Per intenderci, dal cartoon Peppa Pig al film Una pallottola spuntata (1988), dal serissimo Spencer di Pablo Larrain (2021) fino ai Simpson.

Elisabetta II è stata la roccia che ha sovvertito la leggenda di Excalibur, capace di una endurance scolpita nell’inconscio di un Regno votato alla perpetua utopia. È stata l’ultima a scendere dalla sua amata Britannia, la nave simbolo scelta da Derek Jarman per il finale di un film mai realizzato, perché nessuno meglio di lei può interpretare la portata mitica (e politica) di The Last of England, il tramonto di un’epoca, la fine di “quel” Sogno.

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