Quelli che arrivano sono sempre più forti di quelli che partono. Almeno ad agosto. E’ la speranza del tifoso che, lo dicono gli psicologi, rappresenta uno straordinario strumento per arginare le psicosi nelle sue declinazioni peggiori (tra cui il tifo): se cade la speranza, qualsiasi progetto di vita rischia il fallimento. Anche nel 1977 avevamo la speranza che Luca Gabriellini, il giocatore più giovane mai acquistato dal Napoli per aggregarlo già alla prima squadra e che non fu neppure meteora (neppure una partita in A), fosse più forte di Bettega.

Ogni anno si ripete questa sessione di psicoterapia collettiva perché la speranza permette al paziente di avere un atteggiamento ottimista e pieno di fiducia nel futuro, anche se nel presente questo può apparire incerto. Influenzato pertanto dalla ricorrente speranza (lo è in questo momento anche Calenda che non ne vince una dai tempi dell’oratorio), non disgiunta da brevi momenti di sana consapevolezza che non configurano apostasia, mi concedo il diritto di affermare che anche questo anno, ad agosto, il mio Napoli è più forte dell’anno scorso. I motivi?

Kvaratskhelia vale quattro Insigne, Olivera ha rafforzato le potenzialità degli esterni bassi a sinistra sostituendo un logoro Ghoulam, Kim non sarà Koulibaly ma è più forte del Koulibaly ventiseienne, Ostigard, come quarto difensore centrale, ha sicuramente più qualità dell’oggetto misterioso Tuanzebe e nel confronto Simeone-Petagna basta far riferimento al cromosoma paterno del primo per capirne le differenze. In ogni caso, basta guardarli in faccia i neo-acquisti, la fisiognomica difficilmente sbaglia, il Napoli è migliorato tantissimo in termini di cazzimma, cattiveria agnostica e determinazione, che la banda dei fantastici perdenti ha dimostrato di non avere mai avuto negli ultimi 7 anni.

Tra l’altro, citando Andrea Aloi dal suo “do di piede”, il cosiddetto “bagaglio tecnico” di un calciatore vincente si compone solo in minima parte di “buoni fondamentali”. Tutto il resto, ciò che lo rende vincente, è esperienza, cicatrici, misurata follia, schizzi di genio e sporca sagacia. C’è un punto, però, che potrebbe far crollare l’illusione e un altro che determina incertezza.

Il primo riguarda il ruolo del portiere. Meret ha il solo privilegio di farmi ritornare con la memoria agli anni in cui si giocava per strada. Lì, in quei campi dove la linea laterale era una Fiat 500 e la porta la saracinesca di un garage, in porta ci andava o il più scarso oppure, come si dice dalle mie parti, “o pesce pigliato ca’ botta”. Un’espressione popolare, molto diffusa nel dialetto partenopeo, le cui origini sono molto antiche, che trae origine da una pratica (oggi illegale) con cui i pescatori, al fine di catturare il maggior numero di pesci e soprattutto nel minor tempo possibile, utilizzavano la cosiddetta “botta”, o meglio erano soliti buttare in acqua del materiale contenente magnesio, che a contatto col mare provocava esplosioni che producevano una rottura della lisca dei pesci che, rammolliti e incapaci di muoversi, salivano a galla e dunque catturati velocemente dai pescatori. Proprio per questo col modo di dire “nu’ pesce pigliato ca’ botta” si intende una persona molliccia e lenta negli atteggiamenti, spesso in linea col suo carattere e coi suoi modi di fare, una persona poco sveglia e senza una spiccata personalità.

Ecco, Meret appartiene alla seconda categoria e anche nelle nostre interminabili partite (la gara terminava o per la netta supremazia di una delle due squadre oppure andava avanti fino al… pareggio) avrebbe fatto il portiere. Al momento anche la soluzione Sirigu non colma il gap di 6-7 punti in meno rispetto allo scorso campionato che ho stimato per l’effetto “portiere scarso”. Sirigu al posto di Meret come titolare (ottimo secondo, invece) è come aver preso una Fiat Ritmo al posto di una Duna. Aspetto comunque fiducioso, così come mister Spalletti, l’evolversi del calciomercato. E se arrivasse Navas, anche rinunciando a Fabian Ruiz, sarebbe la somma a fare il totale.

Il punto invece che determina incertezza, la versione pessimistica della speranza, riguarda il timing di efficienza di mister Spalletti che, ovunque abbia allenato, ha sempre espresso il massimo dei risultati nei primi diciotto mesi. Dopo questa scadenza, lo dicevo l’anno scorso di questi tempi, è successo sempre qualcosa che ha poi prodotto la rottura del rapporto con la squadra e la società. E questo è l’ultimo treno per vincere in Italia, altrimenti gli tocca riprendere la transiberiana per salire sul predellino. Ah dimenticavo, la psicoterapia della “speranza” darà dei risultati solo nella misura in cui riuscirà a convincere il paziente-tifoso che il cambiamento è possibile, cosa che di per sé genera spesso solo una illusione.

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