Di chi sono le montagne? Sembra una domanda retorica, un esercizio di pura filosofia, eppure nel caso delle Alpi Apuane la questione diventa terribilmente concreta. Il Monte Altissimo, in realtà poco meno di 1600 m, si trova nel territorio di Seravezza in provincia di Lucca; il marmo proveniente dalle sue cave veniva già utilizzato nel 1500 da Michelangelo, in seguito il sito è stato oggetto di sfruttamento industriale soprattutto dal XIX secolo in poi. Oggi la disputa è tra la società Henraux, che rivendica la piena proprietà di terre demaniali site nel comprensorio del Monte Altissimo e utilizzate per l’estrazione del marmo nelle diverse cave di cui risulta titolare, e il comune di Seravezza che invece considera quel territorio appartenente ai beni fondiari del demanio civico, in quanto i terreni precedentemente alienati costituivano un “patrimonio collettivo” delle popolazioni residenti, di cui le amministrazioni locali non potevano disporre per mancanza di titolarità e di assenso dei residenti.

La situazione legislativa è assai complicata: nel periodo considerato il territorio ha visto grandi trasformazioni politiche passando dal Granducato di Toscana al Regno di Sardegna e quindi al Regno d’Italia per arrivare alla moderna Repubblica, con un susseguirsi di leggi e di norme difficile da districare e da armonizzare tra loro.

La contesa nasce da lontano, già nella seconda metà del 1800; ma negli anni ’80 del secolo scorso alcune perizie sostengono “l’esistenza di terre collettive, occupate senza legittimo titolo e, dunque, da proporre per la reintegra alle comunità proprietarie” nel territorio del Comune di Seravezza. La causa intentata da Henraux per riaffermare il diritto di proprietà parte nel 1988 e attraverso diversi tentativi di conciliazione ha visto ben 25 udienze tra il giugno 1989 e il luglio 2001, tutte rinviate e “sempre in attesa della conclusione delle trattative”. Per tutelarsi nella vertenza, gli abitanti aventi diritto hanno costituito l’Asbuc (Amministrazione Separata dei Beni di Uso Civico) di Seravezza.

Le proposte di conciliazione avanzate da Henraux sono state respinte dai frazionisti, determinando nel 2018 le dimissioni del consiglio Asbuc, le cui successive elezioni non hanno portato ad un rinnovo delle cariche per mancanza di persone disponibili ad accettare l’incarico; ad oggi l’Asbuc di Seravezza risulta ancora non ricostituita nonostante la richiesta firmata da 125 frazionisti. La regione Toscana ha chiesto al comune di Seravezza di procedere ad approvare la bozza di statuto dell’Asbuc e trasmetterlo alla regione stessa “corredato con tutta la documentazione necessaria in modo che possa essere approvato dalla Giunta regionale ai fini dell’iscrizione all’albo delle persone giuridiche private della regione Toscana.”

Nel frattempo il commissario per la liquidazione degli usi civici per il Lazio, la Toscana e l’Umbria con sentenza di primo grado nel luglio 2020 ha riconosciuto gran parte del territorio del Monte Altissimo di natura collettiva; la Henraux, per poter continuare le attività di cava, ha richiesto la sospensione dell’immediata esecutività della sentenza e la prossima udienza è prevista per settembre 2022. Intanto si continua a scavare e a “mangiare” le Apuane.

L’aspetto economico della vicenda è al limite del grottesco. Gli accordi stipulati nel 1885 prevedevano un canone annuo per l’utilizzo del territorio che non è mai stato aggiornato, per l’ammontare di 13.791 lire pari a 7,12 euro, canone corrisposto fino al 1989 quando il Comune ha smesso di riscuoterlo per “mancanza di convenienza”.

Inoltre il Comune non ha mai istituito una pesa pubblica, è la stessa società escavatrice a dichiarare la quantità di materiale estratto dalle cave in regime di autocertificazione e quindi a stabilire le somme da versare per la percentuale di tasse da versare all’amministrazione locale. Oggi il comune di Seravezza, in assenza degli organi dirigenti dell’Asbuc ancora da nominare, è subentrato come soggetto gestore e rappresenta in giudizio gli interessi dei frazionisti aventi diritto. In forza di ciò ha provato ad avanzare una nuova proposta di conciliazione, senza però effettuare una perizia né sull’estensione dei terreni né sul loro valore, quindi sostanzialmente “al buio”; fortunatamente la prospettiva di un’indagine per possibile danno erariale ha convinto ad annullare le riunioni decisionali in merito, si resta dunque in attesa della pronuncia del tribunale.

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