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Torino, caso Ream. I giudici sull’assoluzione di Appendino: “Nessuno dolo, errori ma non in malafede”

L’accusa si concentrava sul mancato inserimento nel bilancio di un debito del Comune di 5 milioni nei confronti della società partecipata Ream, società che al tempo si era proposta di riqualificare l’ex area Westinghouse. In primo grado l'ex sindaca e gli altri due imputati erano stati condannati
Torino, caso Ream. I giudici sull’assoluzione di Appendino: “Nessuno dolo, errori ma non in malafede”
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A poco meno di tre mesi dalla sentenza, arrivano le motivazioni dell’assoluzione dell’ex sindaca di Torino, Chiara Appendino, per il caso Ream. La pronuncia della corte riguardava anche il suo capo di gabinetto Paolo Giordana e l’assessore al Bilancio Sergio Rolando. In primo grado l’ex prima cittadina, ora dirigente del M5s, era stata condannata a 6 mesi di reclusione per una ipotesi di falso. Secondo la corte – come riporta La Stampa – gli imputati sbagliarono ma non per disonestà. L’accusa si concentrava sul mancato inserimento nel bilancio di un debito del Comune di 5 milioni nei confronti della società partecipata Ream, società che al tempo si era proposta di riqualificare l’ex area Westinghouse. La cifra era stata versata come caparra per le opere di riqualificazione della zona, progetto che venne poi assegnato a un’altra società. Secondo l’accusa il debito verso la Ream doveva essere onorato nel 2017, invece fu pagato nel 2018. Un’operazione che, sempre secondo i magistrati, permise di portare in pareggio i conti del municipio. Appendino ha sempre sostenuto che si è trattato di un errore tecnico e si è detta convinta “di aver perseguito o cercato di perseguire gli interessi della città”. Ed è questa versione che è stata accolta di magistrati. “Si è trattato di una scelta contabile errata” ma non presa per “malafede”. Nessun dolo quindi.

I 5 milioni in questione sono “una somma di una certa consistenza”, ma poco significativa rispetto alle entrate del Comune “pari circa a un miliardo e trecento milioni di euro per annualità, rappresentava lo 0,4% del bilancio” ed è per questo che i periti li avevano definiti “noccioline” se confrontati “al bilancio nella sua interezza”. I giudici quindi ritengono che “non è ragionevole ipotizzare che gli imputati abbiano preferito commettere un reato invece che spostare il 4 per mille del bilancio e inserire la posta Ream, trovando le risorse per pagarlo o aumentando il disavanzo”. Inoltre “è pacifico che l’errore contabile non era strumentale a coprire attività illecite”, come di solito avviene per il “falso”. Infine secondo la corte era diffusa “all’interno del Comune, tra gli uffici amministrativi e il personale anche di elevato livello professionale, l’interpretazione che reputava corretto” agire in quel modo. Certo è che secondo i magistrati “l’ortodossia contabile” non è stata rispettata e “nemmeno l’operato dei revisori dei conti può andare esente da censure”. Appendino aveva accolto la sentenza in lacrime: “Sono state lacrime liberatorie. Ma anche lacrime di gioia. È stata confermata la mia buona fede. È stata una pagina dolorosa – aveva aggiunto – ma ora sono contenta e non vedo l’ora di riabbracciare la mia famiglia”. L’ex sindaca è ancora imputata per i fatti di piazza San Carlo per i quali è stata condannata a un anno e mezzo il 14 maggio del 2021. Il processo d’appello è iniziato lo scorso 23 giugno.

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