Quanto accaduto in piazza San Carlo a Torino la sera del 3 giugno 2017 durante la finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid era un “evento prevedibile” e pertanto “avrebbe potuto e dovuto essere preso in attenta considerazione con l’adozione di tutte le misure idonee a evitarlo o, comunque, a contrastarne le conseguenze dannose nel miglior modo possibile”. È quanto scrive nelle motivazioni della sentenza la gup di Torino, Mariafrancesca Abenavoli, che ha condannato con rito abbreviato 5 imputati, tra cui la sindaca Chiara Appendino.

La prima cittadina di Torino si è vista infliggere una pena di 18 mesi di reclusione per disastro, omicidio e lesioni colpose. Ad avviso della giudice, ebbe un “approccio frettoloso, imprudente e negligente”. Appendino, si legge nella sentenza, ha “commissionato” l’evento in piazza e poi si disinteressata di “tutti gli aspetti operativi”. Le scelte dell’amministrazione hanno però consegnato agli organizzatori una “traccia troppo rigida” entro cui lavorare. Ma la responsabilità della sindaca, si deduce ancora dalla sentenza, deriva anche da un decreto legislativo del 2000 che attribuisce ai primi cittadini funzione di tutela della incolumità pubblica.

Il 3 giugno 2017, durante la proiezione su maxi schermo della finale di Champions, alcuni rapinatori – che tentavano rapine tra i presenti usando spray urticanti – furono scambiati per terroristi dalla folla scatenando ondate di panico tra la folla che provocarono 1.600 feriti e, più tardi, la morte di due donne, Erika Pioletti, deceduta in ospedale dopo una decina di giorni, e Marisa Amato, rimasta tetraplegica e deceduta nel 2019. “Era prevedile – si chiede il gup nelle motivazioni – che in un assembramento di migliaia di persone che si accalcano in uno spazio confinato possa accadere un qualunque avvenimento, naturalistico o antropico, atto a innescare una prima scintilla di panico, in altre parole a cagionare una reazione angosciata e scomposta della folla? La risposta è indiscutibilmente positiva”.

Infatti – ad avviso della giudice – “sono tantissime le possibili cause scatenanti un focolaio, magari non visibile a tutti e apparentemente innocuo, dallo scoppio di un petardo a una rissa, a un grido di procurato allarme lanciato per scherzo, per fare solo alcuni esempi. E ciò anche a prescindere dall’ipotetica infiltrazione, ben possibile, in mezzo a tanta gente, malgrado gli attenti controlli, di soggetti ancora più pericolosi, quali terroristi o squilibrati”.

“A maggior ragione – prosegue la gup – il rischio di una particolare sensibilità della folla e del pericolo di una sua reazione scomposta di fronte a qualsiasi, anche minimo, evento scatenante era ancor più prevedibile proprio dopo gli ultimi attentati terroristici” che “si erano verificati in occasione di manifestazioni partecipate da un gran numero di spettatori e che non erano noti solo alle forze dell’ordine”. Quindi ribadisce: “Non pare pertanto nel caso specifico si possa mettere in dubbio la possibilità di prevedere un evento del tipo di quello verificatosi, posto che tale possibilità di previsione prescinde dalla causa scatenante (nel nostro caso lo spray spruzzato dai rapinatori) che è giuridicamente indifferente ed avrebbe potuto manifestarsi in concreto sotto forme diverse”.

Insieme ad Appendino sono stati condannati sempre a un anno e sei mesi il suo ex capo di gabinetto, Paolo Giordana, l’allora questore Angelo Sanna, l’ex presidente di Turismo Torino, l’agenzia che prese in carico la creazione dell’evento, Maurizio Montagnese, ed Enrico Bertoletti, professionista che si occupò di parte della progettazione. Anche per Sanna, come per Appendino, l’accusa aveva chiesto una condanna a un anno e 8 mesi, due anni per Giordana, un anno e sette mesi per Montagnese e 3 anni e sei mesi per Bertoletti.

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