“Una maxi-raccolta di file riservati ha rivelato come il gigante della tecnologia Uber abbia violato le leggi, ingannato la polizia, sfruttato la violenza contro i conducenti di taxi e fatto pressioni segrete sui governi durante la sua aggressiva espansione globale”. Lo dice un’inchiesta pubblicata da un consorzio di media internazionali, tra cui il Guardian, che fa luce sui metodi con cui il co-fondatore Travis Kalanick intendeva far diventare l’azienda un leader del settore trasporti, sconvolgendo il settore dei taxi. E, stando a quanto riferito, potendo contare su sostegni di grande livello, come Emmanuel Macron quando era ministro dell’economia, e la ex commissaria europea Neelie Kroes.

Gli oltre 124mila documenti interni ottenuti dal Guardian coprono un periodo di cinque anni, in cui Uber era gestita da Kalanick, costretto poi a dimettersi nel 2017 dagli azionisti proprio per le sue azioni considerate spregiudicate. Nella gigantesca opera di lobbying la compagnia, sostiene l’inchiesta, ha cercato di ottenere il sostegno, “corteggiando con discrezione”, primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e tycoon dei media. In particolare Macron avrebbe fornito un “aiuto spettacolare”, secondo quando emerge dai documenti.

Il Guardian ricorda che Parigi nel 2014 fu teatro del primo lancio europeo di Uber, che incontrò una dura resistenza da parte dell’industria dei taxi, culminata in violente proteste nelle strade. E nei documenti analizzati ci sono messaggi tra Kalanick e Macron, che avrebbe aiutato segretamente l’azienda in Francia quando era ministro dell’Economia, consentendo a Uber un accesso frequente e diretto a lui e al suo staff. In particolare, nonostante i tribunali e il parlamento avessero vietato Uber, Macron – scrive il Guardian – accettò di lavorare con l’azienda per riformare le leggi del settore. E firmò un decreto che allentava i requisiti per la licenza dei conducenti del servizio di trasporto privato. I file rivelano anche come l’ex commissaria Ue per il digitale Neelie Kroes fosse in trattative per unirsi a Uber prima della fine del suo mandato, a novembre 2014, e poi segretamente fece pressioni per l’azienda, in potenziale violazione delle norme etiche europee.

C’è anche un risvolto che riguarda Joe Biden, quando era vicepresidente degli Stati Uniti. Quando arrivò in ritardo a un incontro con l’azienda al World Economic Forum di Davos, Kalanick mandò un messaggio a un collega: “Ho fatto sapere ai miei che ogni minuto in ritardo è un minuto in meno che avrà con me”, E dopo aver incontrato Kalanick, Biden avrebbe modificato il suo discorso preparato a Davos lodando l’azienda.

Ma negli Uber Files compare anche una pagina italiana. ‘Italy – Operation Renzi‘ – rivela L’Espresso – è il nome in codice di una campagna di pressione, dal 2014 e il 2016, con l’obiettivo di agganciare e condizionare l’allora presidente del consiglio e alcuni ministri e parlamentari del Pd. Nelle mail dei manager americani, Matteo Renzi viene definito “un entusiastico sostenitore di Uber”. Per avvicinare Renzi, Uber utilizzò, oltre ai propri lobbisti, personalità istituzionali come John Phillips, in quegli anni ambasciatore degli Stati Uniti a Roma. Ma il leader di Italia Viva ha spiegato di non aver “mai seguito personalmente” le questioni dei taxi e dei trasporti. E comunque il suo governo – ha precisato L’Espressonon ha approvato alcun provvedimento a favore del colosso californiano. Uber, commentando l’intera vicenda, ha ammesso che sono stati commessi “errori e passi falsi”, ma ha chiarito che l’azienda si è trasformata dal 2017, dopo l’uscita di scena di Kalanick, con il suo attuale amministratore delegato, Dara Khosrowshahi. “Non creeremo scuse per comportamenti passati che chiaramente non sono in linea con i nostri valori attuali”, ha affermato. “Chiediamo invece al pubblico di giudicarci da ciò che abbiamo fatto negli ultimi cinque anni e da ciò che faremo negli anni a venire”.

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