Possiamo sperare che finalmente si cheti il pigolio molesto quanto insistente che, in mezzo all’immane tragedia dello scontro impari tra Russia e Ucraina, ha continuato a impicciare qualsivoglia ragionamento basato sull’analisi critica di quei fatti drammatici con la gag perdigiorno del pacifismo come atto di fede a prescindere; di anime belle destinate al paradiso del politicamente corretto. Gente che ripete a disco rotto la parola “pace, pace” succhiandosela in bocca come una caramella; come se la vicenda in corso fosse semplicemente un litigio in cortile tra due ragazzotti scriteriati, cui basterebbe istillare un po’ di creanza e buon senso. Lo spettacolo scoraggiante di adulti pensosi prigionieri delle proprie convinzioni fideistiche, in quanto tali destituite di fondamento, ma esibite come una concezione più alta, più nobile e – a dirla tutta – più morale dell’umana natura; a prescindere dalle smentite che giungono ininterrottamente.

Certo, i cultori della non-violenza sempre e ovunque, le vestali della salvezza attraverso il perdono fino al martirio, della superiorità etica della guancia offerta allo schiaffo reiterato, sono meno esecrabili nella loro puerile ingenuità degli strumentalizzatori dei buoni sentimenti per buttarla in caciara – tipo i Michele Santoro o i Gianluigi Paragone – dei conformisti alternativi alla ricerca di una platea da blandire e di un pubblico accondiscendente cui ammannire la gag dell’épater le bourgeois – da Massimo Cacciari a Carlo Freccero. Per non parlare del furbo gesuita Bergoglio, impegnato a riproporre coram populo il testo pacioso che gli è prescritto dal ruolo di sua competenza.

Ossia il coro (presunto) angelico di chi ha intorbidato le acque nel dibattito sul come rapportarci rispetto all’aggressione di Putin, producendo un fascio tra chi cerca di capire senza paraocchi fideistici, ragionando a mente fredda, e chi pensa di trarre il massimo vantaggio personale dalla carneficina in atto. Un coro diventato inutile prima ancora che molesto alla luce di quanto si sarebbe dovuto sapere già dall’inizio; e che le dichiarazioni di Putin al venticinquesimo forum di San Pietroburgo del 15 giugno, poi al vertice del 23-24 giugno dei Brics, i nuovi Paesi non allineati, hanno reso flagrante: l’invasione dell’Ucraina è solo un pretesto di un vasto disegno che persegue la distruzione dell’unipolarismo del morente impero americano e la liquefazione della sua area periferica, denominata Unione europea.

Dunque un attacco a tutto-campo all’egemonia stelle-e-strisce nella convinzione che la sua posizione dominante in ambito monetario – il semi-monopolio del dollaro – sia agli sgoccioli mentre lo stesso regime democratico, dominato dalle lobby e guidato da leadership screditate (un’imbarazzante carrellata di inadeguati: la coppia di arrampicatori sociali Clinton, i due energumeni repubblicani Bush jr. e Trump, il flebile Obama e il suo ex vice ormai senescente Biden) appare destinato all’implosione. Dopo le prove generali di Capitol Hill, presa d’assalto dalla jacquerie di un’orda facinorosa. Cui non offre certo un’alternativa credibile il concerto di Bruxelles, preda delle banche e con la Germania tuttora Paese-guida, che la vicenda del gas russo conferma in mano a un blocco politico-sociale di bottegai.

Alla faccia dei laudatores della disastrosa Angela Merkel, cui avrebbe dovuto dare il cambio l’anatra zoppa Emmanuel Macron (figlioccio della massoneria e della finanza parigina) o – secondo le piaggerie delle cheerleader tipo Gruber – il “migliore dei Migliori”: l’algido banchiere Draghi, ormai un pugile suonato. Quel mondo occidentale-atlantico il cui salvatore dovrebbe risultare nientepopodimeno che Luigi Di Maio?

D’altro canto, con tutto il male che possiamo legittimamente dire dell’Occidente, non sembra che quanto si propone in area Brics sia minimamente confortante: il regime cleptocratico con il vizio di ammazzare i dissidenti insediato nel Cremlino, il capitalismo schiavistico guidato dal partito unico cinese, il fascismo tropicalista di Brasilia e Rio, l’estremismo nazionalista liberticida nell’India di Nareda Modi. Quindici anni fa lo storico dell’economia Giovanni Arrighi, prefigurando l’inevitabile crisi degli equilibri nel sistema-mondo, indicava come probabile esito quello dell’instaurazione di un caos sistemico. Mentre i nostri amici pigolanti con il loro mantra “pace, pace” pensano di incanalare le dinamiche devastanti, di cui ormai riusciamo a vedere il volto terribile e terrorizzante, grazie ai loro atti di fede nella naturale bontà del genere umano. A partire dai pokeristi bluffatori che stanno mandando a ramengo il mondo, da Mosca e Washington; oltre un po’ di altre sedi minori.

Forse sarebbe bene iniziare a sensibilizzare la pubblica opinione mondiale al riguardo, come si fece nel 2011, l’anno degli indignati. Ma i pretini e compagnia varia continuano a farci perdere tempo. Nel loro atteggiarsi a fenomeni.

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