Credo che l’intero mondo della sanità italiana mai abbia attraversato una crisi così profonda quale l’attuale.

Non mi riferisco solo alla cronica carenza di personale e risorse, aggravata dall’attuale Governo che ha preferito aumentare le spese militari rispetto agli investimenti in sanità, ma parlo di qualcosa di molto più profondo e, a mio avviso, molto più pericoloso: una vera “lacerazione strutturale” che si è creata all’interno del mondo medico e il cui apice si è visto nelle clamorose contestazioni di recenti Assemblee ordinistiche. Si tratta di proteste che, a mio avviso, non possono essere liquidate con superficialità, in quanto espressione di un profondo malessere della categoria e di laceranti divergenze sul piano etico e deontologico, riassumibili in una domanda: chi è oggi il medico e quale è il suo compito?

Per chi come me ha vissuto in prima persona la straordinaria stagione della nascita del Servizio Sanitario Universale, istituito in Italia con la Legge 883 del 23 dicembre 1978, già le riforme introdotte con il decreto legislativo n. 502 del dicembre 1992 e riassunte nelle tre parole: “aziendalizzazione, regionalizzazione, privatizzazione” furono difficili da digerire. Era infatti palese che il riordino in materia sanitaria del 1992 rappresentava un primo “attentato” – sull’onda delle politiche neoliberistiche che si stavano affermando a livello internazionale – ai principi sociali e universalistici che erano stati alla base dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, la cui progressiva erosione e il cui vero e proprio “smantellamento” è ormai oggi sotto gli occhi di tutti.

Posso convenire che, se da un lato ci potevano essere giuste esigenze di razionalizzazione della spesa sanitaria, dall’altro criteri economicisti hanno portato a distorsioni volte molto spesso, più che al bene del paziente, a far quadrare i conti dell’azienda sanitaria. Per non parlare poi del progressivo e sempre più invadente peso della politica nella gestione della sanità con situazioni nefaste di sprechi e corruzione, spesso agli onori delle cronache. Ma ciò cui stiamo assistendo da oltre due anni a questa parte è qualcosa che va oltre, che mi appare surreale e che mai avrei immaginato. Conoscenze e metodologie ampiamente acquisite in medicina sono state stravolte; la figura stessa del medico è stata “appiattita” a quella di mero esecutore di direttive altrui dal sapore più politico che scientifico, con invitabili e dolorose ricadute sul rapporto fiduciario fra medico e paziente, “pilastro” irrinunciabile di ogni corretta pratica terapeutica.

Chiudere gli studi medici, stoppare le visite domiciliari, non fare le autopsie, promuovere come unico approccio il protocollo “tachipirina e vigile attesa”, rifiutare ogni forma di dialogo e confronto e soprattutto alimentare in modo ossessivo la paura ancestrale per la malattia e la morte mi hanno lasciato fin dall’inizio di stucco. Essendomi occupata per tutta la vita di cancro so bene il durissimo percorso culturale che negli anni ’70 fu fatto per abbandonare il sinonimo “malattia incurabile”, con cui il cancro veniva indicato, e altrettanto bene so che la paura non è mai buona consigliera, specie quando si tratta di situazioni che potrebbero mettere a rischio la vita e in cui è fondamentale attivare tutte le risorse psicofisiche di cui disponiamo per superare le criticità del momento. Eppure tutto questo è successo e soprattutto – cosa che più mi sconvolge – è che tutto ciò sia stato supinamente accettato dalla gran parte dei colleghi e soprattutto dagli Ordini professionali, che più che mai si sono mostrati solerti e proni alle direttive governative, rinunciando ad un qualunque ruolo dialettico o di critica costruttiva.

Nessuna voce a questo livello si è levata per mettere in luce le tante contraddizioni che via via emergevano: ad esempio l’aver puntato tutto e solo sull’utilizzo di vaccini, trascurando quanto ciascuno di noi può fare con un adeguato stile di vita per migliorare il proprio sistema immunitario, aver ignorato terapie economiche e di provata efficacia illustrate in una conferenza stampa del 23 ottobre 2021, compreso l’utilizzo del plasma iperimmune del mai abbastanza rimpianto dott. De Donno e la cui validità è di recente stata confermata. Parimenti non ha suscitato alcuna indignazione l’aver contravvenuto alle regole basilari della sperimentazione farmacologica, quali permettere la somministrazione del vaccino Pfizer al gruppo che aveva ricevuto il placebo, nonché raccomandare questi prodotti, non testati per genotossicità e cancerogenicità, a gravide e bambini, dimenticando non solo il principio di precauzione, ma il primo imperativo di ogni medico: “Primum non nocere”. Per non parlare dell’obbligo surrettizio alla vaccinazione col ricatto occupazionale, anche quando era ormai chiaro che i vaccini non solo non impediscono la trasmissione, ma offrono una protezione dall’infezione che declina nel corso di alcuni mesi fino ad invertirsi, come dimostrato in questa recente memoria inviata alla Corte Costituzionale.

Addirittura ai sanitari che hanno contratto l’infezione è stata richiesta dai rispettivi Ordini l’inoculazione di una dose di vaccino entro 90 giorni dal riscontro della positività e non dopo 6 mesi come previsto da circolari ministeriali, anche se è nozione basilare che l’immunità naturale è di gran lunga migliore e più persistente di quella da vaccino e non necessita di “aggiunte” di alcun tipo. Proprio su questo specifico aspetto di recente una lettera aperta, con ampia revisione di letteratura, è stata sottoscritta da oltre 4.000 sanitari ed è stata inviata ai ministri competenti.

In questo desolante panorama, in cui la professione medica è stata svilita e gli Ordini professionali sono apparsi succubi del governo, dobbiamo essere grati ai tanti colleghi che fin dall’inizio della pandemia, contravvenendo alle direttive, hanno agito secondo coscienza e prestato gratuitamente e generosamente assistenza con cure domiciliari, salvando così decine di migliaia di pazienti. Ma, ironia della sorte, sono proprio questi stessi medici ad essere oggi oggetto di procedimenti disciplinari da parte degli stessi Ordini per non essersi attenuti alle “raccomandazioni” ministeriali.

Ma davvero è un bene per i cittadini avere medici “ligi” e “obbedienti” a circolari ministeriali piuttosto che medici che agiscono secondo scienza e coscienza? Davvero un medico che abdicasse al proprio ruolo sarebbe il medico che vorremmo incontrare qualora ne avessimo necessità? Il problema ci riguarda tutti e non è di poco conto e vorrei che su questo l’intera società si interrogasse. Nella oscurità dei tempi che stiamo vivendo qualche spiraglio di luce per fortuna si intravede e qui voglio richiamare le prese di posizione del Presidente dell’Albo degli Odontoiatri di La Spezia, che costituiscono forti segnali di cambiamento che non potranno essere a lungo ignorati. Già nel gennaio scorso il collega scrisse una coraggiosa lettera aperta alla FNOMCeO richiamando i principi etici e deontologici che sono alla base della nostra professione e che non sono subordinati ad alcunché e più di recente, sulla base di prove scientifiche ormai ampiamente disponibili, ha dichiarato che non procederà più ad alcuna sospensione di colleghi non vaccinati perché: “La legge prevede l’obbligo per impedire di essere vettore di infezione. Ma è ampiamente dimostrato: non è così”.

Sarà l’Assemblea straordinaria degli iscritti all’Albo, convocata per il 30 giugno, a convalidare o meno questa decisione: ci auguriamo che nell’occasione i colleghi di La Spezia esprimano piena solidarietà al loro coraggioso presidente. Sarebbe un bene per tutti e un forte segnale, utile a “ricucire” la fiducia fra medici e cittadini che di certo preferiscono un medico che agisce “secondo scienza e coscienza”, piuttosto che uno che rispetta circolari, raccomandazioni e direttive di dubbio valore.

In conclusione credo che alla domanda iniziale “chi è oggi il medico e quale è il suo compito?” ci sia una sola risposta: il Medico – ieri come oggi – è colui che rispetta il Giuramento di Ippocrate, la Costituzione Italiana e il Codice Deontologico. Non abbiamo nulla da inventare: è sufficiente non tradire i pilastri che da sempre indirizzano e guidano il nostro operare.

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